ARTROSI EROSIVA DELLA MANO

AUTORI:

1,2 Marta Favero, 1,3Elisa Belluzzi, 1Roberta Ramonda

1Unità Operativa Complessa di Reumatologia, Dipartimento di Medicina- DIMED, Università di Padova, Padova Italia

2Medicina Interna I, Ospedale Ca’ Foncello, Treviso , Italia.

3Laboratorio di patologia muscoloscheletrica e oncologica, Clinica Ortopedica, Dipartimento di Chirurgia, Oncologia e Gastroenterologia DiSCOD, Università di Padova, Padova. Italia

Introduzione

L’artrosi erosiva della mano (EHOA), è una variante non comune di artrosi (OA) della mano, caratterizzata da infiammazione e degenerazione a carico delle articolazioni interfalangee (IF) distali (IFD) e interfalangee prossimali (IFP) (Punzi L, et al. Best Prac Res Clin Rheumatol 2004). L’EHOA colpisce prevalentemente le donne in premenopausa e il suo esordio è spesso acuto e accompagnato da dolore, calore, arrossamento e tumefazione a carico delle articolazioni IF (Belhorn LR, et al. Semin Arthritis Rheum 1993).

Secondo l’EULAR (lega europea contro i Reumatismi), l’EHOA si differenzia dall’artrosi nodale non-erosiva della mano (HOA) (Zhang W, et al. Ann Rheum Dis 2009), oltre che per differenti manifestazioni cliniche, anche per alcune peculiarità radiografiche. Queste sono caratterizzate dalla presenza di erosioni subcondrali centrali, associate a distruzione della corticale ossea e conseguente processo riparativo che può portare all’anchilosi dell’articolazione (Punzi L, et al. Best Pract Res Clin Rheumatol 2010) (Tabella 1).

 

 

Anche se il termine “artrosi infiammatoria” fu attribuito all’EHOA da Crain nel 1961 (Crain DC. JAMA 196)1, i primi a descrivere le erosioni furono Kellgren e Lawrence (KL) (Kellgren JH, et al. British medical journal 1952). Peter et al. (Peter JB, et al. Arthritis Rheum 1966) coniarono il termine “artrosi erosiva” nel 1966, mentre Ehrlich (Ehrlich GE. Journal of chronic diseases 1972; Ehrlich GE. JAMA 1975) ne descrisse gli aspetti infiammatori. Infatti, le metodiche di imaging spesso rilevano segni di infiammazione sinoviale a carico delle articolazioni IF (Haugen IK, et al. Ann Rheum Dis 2012), con presenza di citochine pro-infiammatorie nel sangue (Beekhuizen M, et al. Osteoarthritis Cartilage 2013; Punzi L, et al. Osteoarthritis Cartilage 2012) e aumentati livelli di proteina C-reattiva (PCR) ad alta sensibilità (Smith JW, et al. Ther adv musculoskeletal dis 2012; Punzi L, et al. Ann Rheum Dis 2005).

Non tutti gli studiosi concordano sul fatto che l’EHOA sia un’entità nosologica separata dall’artrosi nodale classica; alcuni come Verbruggen, affermano che l’EHOA sia una possibile evoluzione dell’HOA (Verbruggen G, et al. Clin Rheumatol 2002; Verbruggen et al. Revue du rhumatisme (English ed.) 1995). Più recentemente, Marshall e coll. hanno evidenziato, in uno studio condotto su 1076 pazienti, il medesimo coinvolgimento articolare, in termini di frequenza e pattern, nel gruppo di pazienti affetti da EHOA rispetto ai soggetti affetti dalla forma non erosiva (Marshall M, et al. Ann Rheum Dis 2015). Tale osservazione supporta l’ipotesi che l’EHOA sia più una forma severa di HOA, piuttosto che una patologia a sé stante (Marshall M, et al. Ann Rheum Dis 2015).

Anche il gruppo di Haugen e coll. supporta l’ipotesi che l’EHOA sia un fenotipo infiammatorio dell’OA. Benché EHOA sia caratterizzata, rispetto alla forma non erosiva, dalla presenza di una maggiore infiammazione sinoviale (sinovite e segnale power-doppler) valutata alla MRI e alla ecografia, la progressione radiografica è risultata essere indipendente dalla presenza di sinovite e dal danno strutturale (Haugen IK, et al. Osteoarthritis Cartilage 2016).

Dai nostri studi emerge che l’EHOA sembra essere una forma a sé stante di HOA della mano, caratterizzata da un pattern clinico, bioumorale, radiologico ed evolutivo peculiare (Punzi L, et al. Best Pract Res Clin Rheumatol 2010). L’EHOA sembra un’entità nosologica, che si associa ad una clinica ed una progressione più grave, colpisce prevalentemente le articolazioni IF e sembra esserci un coinvolgimento, a volte, delle articolazioni interapofisarie della colonna (Punzi L, et al. RMD open 2015).

 

 

Epidemiologia e clinica

In assenza di criteri diagnostici definiti, vi sono pochi dati epidemiologici disponibili sull’EHOA, soprattutto per quanto riguarda la prevalenza. Vi è una discrepanza tra vecchi studi che consideravano l’EHOA una patologia rara e studi più recenti che indicano che sia una variante frequente di HOA. La prevalenza dell’EHOA nella popolazione generale è stimata tra il 2,8% e il 10,2% nei soggetti con OA sintomatica (Kwok WY, et al. Annals of the Rheumatic Diseases 2011).

L’EHOA colpisce quasi esclusivamente il sesso femminile. Nella nostra serie di 141 pazienti affetti da EHOA, definita sulla base di almeno un’erosione nelle articolazioni IF, 126 erano femmine (89,3%) (Punzi L, et al. Best Pract Res Clin Rheumatol 2010). Queste percentuali sono state poi confermate da altri studi (Marshall M, et al. Osteoarthritis Cartilage 2013).

Alcune manifestazioni cliniche sono caratteristiche dell’EHOA e possono far sospettare precocemente la patologia. Il termine “OA infiammatoria” sembra, in questo contesto, appropriato, infatti il dolore ad insorgenza acuta, la tumefazione, l’arrossamento, il calore e la limitazione funzionale a carico delle articolazioni IF delle mani sono manifestazioni comuni, ricorrenti e persistenti (Tabella 1). Alcune di queste manifestazioni cliniche possono essere osservate anche nelle forme non erosive, ma solo nei primi anni di esordio della patologia artrosica.

Nell’EHOA sono caratteristiche le parestesie a carico delle estremità distali delle dita soprattutto nelle ore notturne (Belhorn LR, et al. Semin Arthritis Rheum 1993). È importante sottolineare che l’EHOA può coinvolgere più articolazioni contemporaneamente e può avere un andamento persistente per molti anni (Punzi L, et al. Best Pract Res Clin Rheumatol 2004). A differenza dell’HOA, dove il coinvolgimento articolare è sostitutivo con successivo sviluppo degli osteofiti (Doherty M, et al. Oxford TextBook of Rheumatology, 1993). L’evoluzione clinica dell’EHOA in deformità nodose delle IFP (noduli di Heberden) e IFD (noduli di Bouchard) può avere un decorso variabile e non si differenzia in maniera significativa dall’HOa, se non per una progressione più accelerata. Altre deformità specifiche distintive dell’ EHOA sono l’instabilità e l’anchilosi delle articolazioni IFP e IFD rare o assenti nella HOA (Punzi L, et al. Best Prac Res Clin Rheumatol 2004).

Le dita più coinvolte sono il secondo e il terzo, spesso in modo simmetrico, seguite dal quarto e dal quinto (Figura 1). Non vi è accordo generale sul fatto che l’impegno dell’articolazione trapezio-metacarpale (TMC) riscontrata da Crain, in almeno un terzo dei pazienti, debba essere considerata caratteristica dell’EHOA (Crain DC. JAMA 1961). Le grosse articolazioni, come anca, spalla (Keats TE, et al. Skeletal Radiol. 1981) e articolazioni dei piedi (Mas AJ, et al. Joint, bone, spine: revue du rheumatisme 2007) sono raramente colpite.

 

 

Figura 1. Caratteristiche cliniche dell’EHOA. Con l’asterisco (*) in rosso sono evidenziate le tumefazioni articolari, mentre con la linea in blu (/) la sublussazione articolare.

 

Fattori di rischio

Oltre ai classici fattori di rischio descritti per l’HOA (Zhang W, et al. Ann Rheum Dis 2009), obesità e ereditarietà, sono stati riportati anche nell’EHOA (Kloppenburg M, et al. Nat Rev Rheumatol 2011). Inoltre, l’EHOA pare colpire donne più giovani rispetto i HOA. Marshall e coll. hanno confermato che gli individui con EHOA avevano un aumentato rischio di sindrome metabolica, in particolare di dislipidemia, rispetto all’HOA (Marshall M, et al. Ann Rheum Dis 2015). Altri autori non hanno riscontrato associazione tra sindrome metabolica e HOA (Strand MP, et al. Arthritis care & research 2018).

Tuttavia, recentemente, Marshall e coll. hanno invece dimostrato che i fattori di rischio metabolico non erano associati in modo indipendente ad una maggiore incidenza o progressione radiografica di HOA, solo il diabete correlava con la progressione radiografica di HOA e EHOA (Marshall M, et al. Scand J Rheumatol 2019). I livelli di alcune adipochine (citochine prodotte dal tessuto adiposo), risultano essere più elevati nei pazienti affetti da HOA: la resistina sia nell’HOA che nell’EHOA rispetto ai controlli sani, mentre la visfatina nei pazienti EHOA (Fioravanti A, et al. Biomarkers 2018), suggerendo così un ruolo del tessuto adiposo nella patologia artrosica e in particolare nella forma erosiva.

 

Esame obiettivo

Ispezione

L’esame obiettivo del paziente inizia con l’ispezione delle mani. Viene valutata la presenza di tumefazione articolare, asimmetrie, deformità e atrofia muscolare. Il cambiamento del colore della pelle (eritema o pallore) e la presenza di cicatrici devono sempre essere osservati (Figura 2a). L’ispezione delle unghie dei pazienti può fornire informazioni utili sulla presenza di eventuali malattie sistemiche. Bisogna, inoltre, valutare la presenza di psoriasi (pitting ungueale e onicolisi) e di vasculite periungueale (piccole aree infartuali) (Figura 2b). La regione palmare va ispezionata (Figura 2c) al fine di valutare la presenza di asimmetrie, anomalie, cicatrici (ad es. intervento per sindrome del tunnel carpale), tumefazione e deformità (ad es. contrattura dovute al morbo di Dupuytren) (Figura 2c). La temperatura della cute sovrastante all’area articolare va valutata e confrontata con la controlaterale utilizzando il dorso della mano (Figura 2d). La valutazione della regione del polso prevede la palpazione del polso radiale e dell’articolazione ponendo i pollici sulla superficie estensoria e gli indici sulla superficie flessoria al fine di valutare dolorabilità, irregolarità e tumefazione articolare (Figura 2e). La palpazione, poi, procede con la valutazione delle articolazioni carpo-metacarpali (Figura 2f) e delle articolazioni metacarpo-falangee per valutare la presenza di dolorabilità e tumefazione (Figura 3a).

 

Figura 2. Esame obiettivo delle mani: a) ispezione dorsale; b) ispezione delle unghie e delle dita; c) ispezione palmare; d) valutazione della temperatura; e) palpazione delle articolazioni del polso; f) palpazione delle articolazioni carpo-metacarpali.

 

È utile effettuare lo squeeze test: delicatamente si premono le articolazioni metacarpo-falangee valutandone la dolorabilità (Figura 3b). Successivamente, si procede alla palpazione delle articolazioni IFP (Figura 3c), IFD (Figura 3d) e dell’articolazione trapezio-metacarpale (la deformità dell’articolazione tipo “a mano quadrata” è suggestiva di OA) (Figura 3e). Inoltre, è importante evidenziare eventuali ispessimenti a carico dei tendini della superficie palmare e valutare la sensibilità nelle aree innervate dal nervo radiale, ulnare e mediano. Controllare il trofismo della massa muscolare dell’eminenza tenar e ipotenar: l’atrofia in tali sedi è un segno di lesioni del nervo mediano o ulnare) (Figura 3f).

 

Figura 3. Esame obiettivo delle mani: a) palpazione delle articolazioni metacarpo-falangea; b) squeeze test; c) palpazione delle articolazioni interfalangee prossimali; d) palpazione delle articolazioni interfalangee distali; e) palpazione dell’articolazione trapezio-metacarpale; f) palpazione dell’eminenza tenar e ipotenar.

 

Il test di Tinel è un test diagnostico per la sindrome del tunnel carpale. Si esegue picchiettando con il martelletto delicatamente il nervo mediano al fine di provocare, in caso di positività, una sensazione di formicolio nella regione di distribuzione del nervo (Figure 4a). Anche il test di Phalen può essere utile per diagnosticare la sindrome del tunnel carpale e consiste nella flessione forzata del polso per circa 60 secondi, che in caso di positività, può scatenare i sintomi della sindrome del tunnel carpale (Figura 4b). Dopo l’ispezione e la palpazione, l’esame obiettivo della mano procede con la valutazione della mobilità. Viene valutata, prima, la flessione del polso sia attiva che passiva considerando la presenza di crepitii e di dolore (Figura 4c) e successivamente l’estensione del polso (Figura 4d), e l’estensione (Figura 4e) e la flessione (Figura 4f) delle dita, poi l’abduzione delle dita (Figura 5a) e del pollice (Figura 5b) e l’opposizione del pollice (Figura 5c).

 

Figura 4. Esame obiettivo delle mani: a) test di tinel; b) test di Phalen; c) valutazione della flessione del polso; d) valutazione dell’estensione del polso; e) valutazione dell’estensione delle dita f) valutazione della flessione delle dita.

 

Infine, dovrebbe essere effettuata una valutazione funzionale del paziente. Utile valutare la forza di presa chiedendo al paziente di stringere con la mano le dita medio e indice dell’esaminatore (Figura 5c). Inoltre, va valutata la capacità di pinza chiedendo al paziente di prendere con le prime due dita l’indice dell’esaminatore (Figura 5e). Come ultimo test si può chiedere al paziente di prendere un piccolo oggetto (Figura 5f).

 

Figura 5. Valutazione delle mani. a) abduzione delle dita; b) abduzione dei pollici; c) valutazione della forza di presa; e) valutazione della capacità di pinza; f) test di raccolta di un piccolo oggetto.

 

Biomarcatori e genetica

Il L’istituto Superiore di Sanità definisce un biomarcatore come un indicatore oggettivamente misurabile e valutabile di un normale processo biologico, di un processo patogenetico, o di una risposta farmacologica a un intervento terapeutico (Biomarkers Definitions Working Group. Clin pharmacol ther 2001). I marcatori si possono suddividere in non bioumorali “dry” (immagini radiografiche, di risonanza magnetica nucleare o ecografiche, le scale del dolore ed i questionari), oppure possono essere dei marcatori biochimici “wet”. Molto discussi sono nuovi marcatori che dovrebbero permettere di identificare l’OA in fase precoce. Questi dovrebbero essere validati, riproducibili ed avere un valore predittivo e prognostico.

Nonostante la sua aggressività clinica, l’EHOA non è ancora stata dimostrata essere associata a cambiamenti biochimici, e/o patognomonici. I marcatori più comuni di infiammazione, proteina C reattiva (PCR) e la velocità di sedimentazione degli eritrociti (VES), non sono utili per l’OA, che è comunemente classificata come una forma “non infiammatoria” (Altman R, et al. Osteoarthritis 2001). Tuttavia, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che la PCR sia un marcatore di gravità della malattia nelle forme più comuni di OA dell’anca e del ginocchio, e può essere utilizzata per valutare lo stesso paziente nei vari stadi di progressione della malattia (Sowers M, et al. Osteoarthritis Cartilage 2002; Spector TD, et al. Arthritis Rheum 1997; Wolfe F. J Rheumatol 1997). In particolare, la PCR è stata determinata nei pazienti affetti da EHOA utilizzando metodi ultrasensibili (hs-PCR), dimostrando che valori più elevati correlavano con l’attività di malattia (numero di articolazioni coinvolte) (Punzi L, et al. Ann Rheum Dis 2005). Altri autori riportavano, invece, livelli aumentati di VES nei pazienti affetti da EHOA (Mathiessen A, et al. Osteoarthritis Cartilage 2016).

Punzi et al. hanno riportato un aumento del recettore solubile dell’interleuchina-2 (sIL-2), indice di attività linfocitaria nei pazienti affetti da EHOA (Punzi L, et al. J Rheumatol 1996). Questo suggerisce, in accordo con altri studi, che il sistema immunitario può essere coinvolto nell’EHOA (Egger P, et al. J Rheumatol 1995; Pattrick M, et al. Ann Rheum Dis 1989; Ramonda R, et al. Scandinavian journal of rheumatology 2011). Per quanto riguarda i biomarcatori del metabolismo del collagene, alti livelli della porzione N-terminale del Collagene tipo 2 (Coll2-1) e la sua forma nitrata (Coll 2-1 NO(2)) sembrano essere predittivi di danno articolare e di progressione radiologica nell’EHOA (Punzi L, et al. Osteoarthritis Cartilage 2012; Ramonda R, et al. Eur J Intern Med 2013) Inoltre, livelli più elevati del neoepitopo di clivaggio del collagene Col2-3/4C (short), un marker di catabolismo cartilagineo, sono stati riscontrati nel siero di pazienti affetti da OA ed EHOA rispetto controlli ai sani (Silvestri T, et al. Osteoarthritis Cartilage 2004). Inoltre, in questo studio, i pazienti affetti da EHOA mostravano un lieve aumento dei livelli dell’epitopo del collagene di tipo 2 e una leggera diminuzione dei livelli dell’epitopo dell’aggrecano CS864 rispetto ai controlli (Silvestri T, et al. Osteoarthritis Cartilage 2004). Il telopeptide C-terminale del collagene di tipo I (CTX-I), uno specifico marker di riassorbimento osseo, è stato riscontrato aumentato nei pazienti con EHOA rispetto a quelli affetti da OA nodale (Rovetta G, et al. Int J Tissue React 2003).

Un altro marker di degradazione della cartilagine, la mieloperossidasi (MPO), trovata nei granuli dei neutrofili implicati nei processi ossidativi durante la fagocitosi, sembra essere responsabile della distruzione della cartilagine articolare e quindi coinvolta nella patogenesi dell’OA (Fietz S, et al. Res vet science 2008). Livelli particolarmente elevati di Coll2-1NO(2) e MPO sembrano essere l’espressione della severità e dell’attività della patologia e correlano tra di loro e con la durata della malattia (Fietz S, et al. Res vet science 2008). Nei nostri studi abbiamo osservato livelli più elevati di questi marcatori nell’EHOA rispetto a HOA (Punzi L, et al. Osteoarthritis Cartilage 2012; Ramonda R, et al. Eur J Intern Med 2013; Deberg M, et al. Ann Rheum Dis 2008) che pertanto sembrano essere predittivi di un subset più aggressivo della patologia.

Recentemente Fioravanti et al. hanno dimostrato i livelli di alcune adipochine nel sangue di pazienti affetti da HOA e da EHOA dimostrando che la resistina era elevata in entrambe le patologie mentre la visfatina solamente nei pazienti EHOA (Fioravanti A, et al. Biomarkers 2018).

Un numero crescente di evidenze indicano come i biomarcatori possano essere considerati un campo relativamente nuovo e in rapida evoluzione nell’OA. Infatti, i biomarcatori possono potenzialmente essere utile per la diagnosi, soprattutto precoce, della malattia e per la valutazione della gravità e della progressione del danno articolare nell’OA, e potrebbero risultare utile per monitorare l’effetto dei farmaci.

 

 

La componente genetica è un fattore predisponente importante soprattutto nell’HOA. Nel 1940 uno studio dimostrava che i noduli di Heberden erano tre volte più frequenti nelle sorelle di donne affette da HOA (Stecher RM. Am J Med Sci 1941). Gemelli monozigoti presentano una maggiore frequenza di OA rispetto a quelli dizigoti (Cicuttini FM, et al. Ann Rheum Dis 1996). La componente ereditaria della malattia è comunque complessa e non segue un semplice modello di ereditarietà mendeliana (Fernandez-Moreno M, et al. Current genomics 2008). Una mutazione del gene COL2A1 sul cromosoma 12, che codifica per il collagene di tipo II, è responsabile di una forma precoce di OA, ma il suo ruolo nell’HOA rimane sconosciuta (Priestley L, et al. British J rheum 1991). Un altro studio ha dimostrato un’associazione tra EHOA e un polimorfismo della regione genomica che codifica per IL-1β in una popolazione caucasica (Stern AG, et al. Osteoarthritis Cartilage 2003).

Molti autori hanno cercato marcatori genetici sul cromosoma 6 nelle regioni corrispondenti agli antigeni leucocitari umano (HLA) di classe I e di classe II. Pattrick et al. ha trovato una maggiore frequenza dell’aplotipo HLA-A1B8 in pazienti con HOA (Pattrick M, et al. Ann Rheum Dis 1989), ma questa osservazione non è stata confermata da altri studi. Gli alleli HLA di classe II sono spesso coinvolti nelle malattie autoimmuni e alcuni studi hanno riportato una correlazione con HLA-DR2, HLA-DR4 e HOA; i risultati sono, tuttavia, in conflitto e non differenziano tra EHOA e artrosi nodale (Moos V, et al. Rheumatology (Oxford) 2002; Riyazi N, et al. Ann Rheum Dis 2003). L’HLA-DR2 è frequentemente descritto in associazione con altre malattie autoimmuni (tiroidite, sclerodermia, diabete) (Ramonda R, et al. Joint, bone, spine: revue du rhumatisme 2012; Ramonda R, et al. Joint, bone, spine: revue du rhumatisme 2011), a conferma dell’ipotesi che la genetica e la componente autoimmunitaria svolgono un ruolo importante nella patogenesi della malattia. In uno studio condotto dal nostro gruppo sui pazienti affetti da EHOA del Nord Italia, gli alleli più frequentemente rilevati erano A23, DRB1 *07 e in particolare B44. L’allele HLA-DRB1 *07 è stato trovato, in particolare, essere associato a una maggiore gravità della malattia (Ramonda R, et al. Scandinavian journal of rheumatology 2011).

Radiografia convenzionale

I criteri per la diagnosi dell’HOA si basano sulla radiografia convenzionale. Le caratteristiche radiologiche tipiche dell’EHOA sono le erosioni ossee e le lesioni osteoproduttive, mentre la proliferazione e l’osteofitosi osservate nei pazienti affetti da EHOA sono simili a quelle evidenziate nell’OA (Tabella III e Figure 6-8). Le erosioni sono localizzate nella porzione centrale dell’articolazione, sono associate a una riduzione dello spazio articolare (JSN), ed evolvono verso il “collasso” centrale della superficie ossea, conferendo così il cosiddetto aspetto ad “ali di gabbiano” caratterizzato anche da osteofiti e sclerosi (Martel W, et al. American J of Roentgenology 1980; Scutellari P, et al. La Radiologia medica 1985). L’aspetto “a dente di sega” è un altro possibile aspetto che si può frequentemente riscontrare nei pazienti affetti da EHOA e può progredire verso l’anchilosi (Fig. 2) (Delcambre B, et al. Joint, bone, spine: revue du rhumatisme 2001). Infatti, l’EHOA secondo i criteri classificativi dell’American College of Rheumatology per l’OA della mano, si definisce come la presenza di almeno un’erosione confermata dalla radiografia a carico delle articolazioni IF, senza la presenza di erosioni a carico delle MCF (Altman R, et al. Arthritis Rheum 1990). Kellgren e Lawrence hanno formulato uno scoring radiografico per valutare la gravità della malattia e l’evoluzione utilizzando una scala da I a IV: lesioni tipiche, come osteofiti, JSN, sclerosi, e le cisti subcondrali, sono valutate globalmente a livello delle IFP, IFD e TMC (Kellgren JH LJ. et al. Blackwell Scientific 1963). Osteofiti e JSN sono valutati anche dallo score di radiografico di Kallman che tiene in considerazione sclerosi subcondrale, collasso centrale, cisti subcondrale e deformità articolari (Kallman DA, et al Arthritis and rheumatism 1989). Anche lo score di Altman prende in considerare la presenza e la gravità degli osteofiti, JSN, erosioni subcondrali, sclerosi subcondrale e sublussazioni (Altman R, Osteoarthritis Research Society 2007; Altman RD, et al. Arthritis Rheum 1987; Altman RD, et al. Osteoarthritis Cartilage 1995). Per quanto riguarda l’evoluzione delle caratteristiche anatomiche, Verbruggen ha proposto uno scoring numerico per valutare la progressione dell’OA: N = normale, S = stazionario, J = JSN completo, E = cisti con erosioni del piatto subcondrale e lo pseudo allargamento dello spazio articolare e R = rimodellamento osseo (Verbruggen G, et al. Clin Rheumatol 2002; Verbruggen et al. Revue du rhumatisme (English ed.) 1995).

 

 

 EROSIONI CENTRALI           DENTE DI SEGA                 ALI DI GABBIANO                  ANCHILOSI

Figura 6. Caratteristiche tipiche dell’artrosi erosiva della mano.

 

Figura 7. Caratteristiche radiografiche dell’EHOA. Con l’asterisco (*) in rosso sono evidenziate la perdita di cartilagine articolare, l’erosione centrale, le cisti subcondrali e la sclerosi. Le MCF e il carpo non sono coinvolti nell’EHOA.

 

Figura 8. Caratteristiche radiografiche dell’EHOA. Con l’asterisco (*) in rosso sono evidenziate la perdita di cartilagine articolare, l’erosione centrale, le cisti subcondrali e la sclerosi. Con la freccia (↗) in rosso sono evidenziati gli osteofiti.

 

Scintigrafia

Alcuni autori indicano la scintigrafia ossea come strumento utile per valutare l’attività dell’EHOA e per prevederne la sua evoluzione clinica (Olejarova M, et al. Joint, bone, spine: revue du rhumatisme 2000) (Figura 9). Filkova e coll. (Filkova M, et al. Osteoarthritis Cartilage 2009) hanno osservato un numero totale di articolazioni della mano colpite da infiammazione e rimodellamento osseo significativamente più elevato nell’EHOA rispetto alla HOA. Punzi et coll, hanno riscontrato una correlazione tra il numero delle articolazioni ipercaptanti alla scintigrafia ossea, la hs-PCR e le articolazioni clinicamente attive nei pazienti con EHOA (Punzi L, et al. Ann Rheum Dis 2005). Tuttavia, negli ultimi anni tale metodica è sempre meno utilizzata al fine di valutare l’infiammazione articolare nell’EHOA, in quanto l’ecografia e la RMN sono risultate più specifiche e sensibili nel valutare l’infiammazione sinoviale.

 

Figura 9. a) Mani di una paziente affetta da EHOA con impegno prevalente delle IFD; b) scintigrafia ossea della medesima paziente che evidenzia delle ipercaptazioni a livello delle IFD.

 

Ecografia

L’ecografia (US) è utile per valutare la presenza di infiammazione a carico delle piccole articolazioni delle mani rilevando la presenza di erosioni, osteofiti, ipertrofia sinoviale, versamento articolare, vascolarizzazione, irregolarità periarticolari e peritendinee dei tessuti molli. L’ecografia è in grado di evidenziare precocemente la presenza di erosioni in quanto permette una valutazione dell’articolazione sia lungo un piano longitudinale che trasversale; inoltre è in grado di rilevare erosioni molto più piccole rispetto alla radiografia. Attualmente l’US è considerata una procedura utile per valutare l’attività dell’EHOA. Anche se la metodica è facile e frequentemente utilizzata, non esiste ancora uno score standardizzato. La maggior parte degli autori prende in considerazione i seguenti parametri ecografici conferendo uno scoring semi-quantitativo: presenza di versamento articolare, presenza di ipertrofia sinoviale, riduzione della rima articolare, presenza di erosioni, presenza di osteofiti, e presenza di segnale di power-doppler, quest’ultimo è un indice di infiammazione attiva (Iagnocco A, et al. J Rheumatol 2005) (Figura 10). Grassi e coll. sono stati i primi ad utilizzare l’ecografia con sonde ad alta frequenza per valutare il coinvolgimento delle articolazioni IF (Grassi W, et al. Seminars in arthritis and rheumatism 2000). Altri autori hanno dimostrato una buona concordanza tra i risultati della radiografia e dell’ecografia (Iagnocco A, et al. J Rheumatol 2005). Vlychou e coll. hanno dimostrato che l’ecografia è una procedura più sensibile rispetto alla radiografia convenzionale nel rilevare le erosioni centrali e gli osteofiti nei pazienti EHOA (Vlychou M, et al. Osteoarthritis Cartilage 2009). Questa metodica ha permesso anche di evidenziare il ruolo dell’infiammazione sinoviale nella patogenesi della malattia (Ramonda R, et al. Clin Rheumatol 2016; Ramonda R, et al. Clin Rheumatol 2014). Infatti, l’ecografia, associata all’utilizzo del segnale power-doppler, è particolarmente utile nello studio dell’infiammazione sinoviale, in quanto permette di valutare l’ipertrofia, la presenza di versamento e l’aumentata vascolarizzazione a carico della membrana sinoviale, oltre agli osteofiti e alle erosioni. Infatti, Mancarella e coll. hanno dimostrato che il segnale power-doppler è aumentato nell’EHOA rispetto ai pazienti con HOA e ai controlli sani (Mancarella L, et al. Osteoarthritis Cartilage 2010). Inoltre, l’infiammazione sinoviale si associava al danno radiologico e a un ridotto spessore cartilagineo (Mancarella L, et al. Osteoarthritis Cartilage 2010). Inoltre, Koterkaas e coll. hanno evidenziato che la presenza di versamento e ipertrofia a carico della membrana sinoviale, oltre ad un power doppler positivo, sono più frequenti nell’EHOA rispetto ai soggetti con HOA, non solo nelle articolazioni che presentavano erosioni, ma anche in quelle che non le presentavano (Kortekaas MC, et al. Ann Rheum Dis 2013). Inoltre, l’ipertrofia sinoviale e il segnale power-doppler evidenziati in ecografia sono stati associati allo sviluppo di erosioni in pazienti con HOA, suggerendo che l’infiammazione sinoviale potrebbe svolgere un ruolo importante nella patogenesi dell’EHOA e può essere considerata un potenziale bersaglio terapeutico (Kortekaas MC, et al. Arthritis & rheumatology, 2016; Mancarella L, et al. Osteoarthritis Cartilage 2015). Recentemente, Mathiessen e coll. hanno dimostrato come l’ipertrofia sinoviale e il segnale di power Doppler positivo siano associati alla progressione radiologica della malattia a 5 anni (Mathiessen A, et al. Annals of the Rheumatic Diseases 2016).

 

Figura 10. Distensione della capsula articolare, versamento articolare. 1) Irregolarità dell’osso subcondrale; 2) Osteofita; 3) Ipertrofia della membrana sinoviale

 

Risonanza magnetica

Dato che l’OA è una malattia dell’intera articolazione, che coinvolge anche tessuti non visibili alla radiografia, l’uso dell’ecografia e della risonanza magnetica (RM) sono diventati strumenti importanti nello studio di questa patologia (Hayashi D, Clin Experimental rheumatol 2018). La RM permette di valutare tridimensionalmente tutte le componenti dell’articolazione, compresa la cartilagine articolare, l’osso subcondrale, la membrana sinoviale, la capsula e i legamenti. Dato che tutti questi tessuti sono coinvolti nell’OA, la RM ha acquisito un ruolo importante nella valutazione dei segni di infiammazione sinoviale, che è spesso associata all’OA, e dell’edema dell’osseo (Favero M, et al. Rheumatology 2017). In particolare, l’infiammazione sinoviale è considerata un importante fattore di rischio di progressione della malattia e di deterioramento strutturale dell’articolazione, ed è stato correlata con il dolore e la limitazione funzionale (Scanzello CR et al. Bone 2012). Inoltre, il dolore nell’OA è stato correlato alla presenza di edema dell’osso (Felson DT. British journal of sports medicine 2011).

Pochi studi sono stati condotti per valutare l’utilità della risonanza magnetica nel distinguere l’EHOA dalla HOA. Le erosioni centrali rilevate morfologicamente dalla RM si presentano come aree di collasso subcondrale e di atrofia da pressione, e determino la caratteristica “deformità ad ali di gabbiano” (Figura 11). L’edema dell’osso si riscontra sia in prossimità delle aree di erosione, ma anche in regioni senza evidenza di erosione (Grainger AJ, et al. Skeletal Radiol 2007). La formazione di cisti avviene nelle aree di sclerosi subcondrale, creando regioni ben definite a contenuto liquido. La RM evidenzia inoltre l’ipertrofia sinoviale, che solitamente è meno severa di quella che si trova nelle artriti infiammatorie (Tan AL, et al. Arthritis & Rheumatism 2005).

 

Figura 11. Caratteristiche RMN dell’EHOA. a) Sequenza T1: con l’asterisco (*) in rosso sono evidenziate erosioni centrali. b) Sequenza T2: oltre alla presenza di erosioni centrali con la freccia (↗) in rosso è evidenziata la presenza di edema dell’osso e di sinovite

 

Lo score Oslo Hand OA MRI (OHOA-MRI) è un sistema recentemente sviluppato per classificare le caratteristiche riscontrate nell’HOA che sono rilevabili mediante RM, come: osteofiti, riduzione dello spazio articolare, erosioni, cisti e disallineamento (Haugen IK, et al. Ann Rheum Dis 2011). In questo score vengono presi in considerazione anche altri segni legati alla patologia come sinovite, tenosinovite dei flessori, edema dell’osso, presenza dei legamenti collaterali e edema dell’osso all’inserzione dei legamenti collaterali (Haugen IK, et al. Ann Rheum Dis 2011). Il gruppo di ricerca che ha sviluppato questo score nel 2011 lo ha applicato in un gruppo di 106 pazienti affetti da HOA. Dal 2011, altri studi sono stati pubblicati dove questo score è stato applicato nella pratica clinica. Uno studio ha applicato lo score a 106 pazienti affetti da HOA, di cui 64 con EHOA (Haugen IK, et al. Ann Rheum Dis 2011). Un altro ha utilizzato questo grading per valutare 13 pazienti affetti da EHOA su un totale di 29 soggetti (Kortekaas MC, et al. J Rheumatol 2015). Il nostro gruppo recentemente ha applicato questo score su una popolazione di 11 pazienti affetti da EHOA per un totale di 80 articolazioni (Ramonda R, et al. Clin Rheumatol 2016). La sinovite è stata rilevata nel 39,8% delle 80 articolazioni esaminate (ed in forma lieve nell’80%), le erosioni sono state riscontrate nel 51,1%, le lesioni del midollo osseo sono state identificate nel 20,5% a livello distale e nel 23,9% a livello prossimale. È stato dimostrato che la presenza di sinovite correlava con la dolorabilità e con la presenza di erosioni sia livello delle articolazioni distali che prossimali. La presenza di erosioni correlava con la presenza di dolorabilità articolare all’esame obiettivo e con il punteggio medio della scala analogica visiva (VAS) del dolore. La presenza di infiammazione sinoviale e di edema dell’osso correlavano con sintomi clinici nei nostri pazienti affetti da EHOA (Ramonda R, et al. Clin Rheumatol 2016).

L’associazione tra tenosinovite, lesioni midollari dell’osso e dolore nell’HOA è stata valutata anche in altri studi. In particolare, Liu e coll. hanno valutato una popolazione di 105 pazienti affetti da HOA in RM. Le lesioni midollari dell’osso, la sinovite, le cisti, la tenosinovite dei flessori (FTS), l’infiammazione del tendine estensore (ETI) sono state riscontrate rispettivamente nel 56%, 90%, 22%, 16% e 30% dei pazienti. Le lesioni midollari e la sinovite dell’osso si associavano al dolore articolare, mentre tale correlazione non è stata riscontrata per FTS ed ETI. Le analisi multivariate hanno evidenziato che l’edema dell’osso non si associava al dolore in assenza di infiammazione sinoviale, mentre la sinovite si associava al dolore in assenza di lesioni midollari dell’osso (Liu R, et al. Osteoarthritis Cartilage 2017).

Haugen e coll. hanno riscontrato un’associazione tra infiammazione sinoviale e presenza dell’edema dell’osso con la dolorabilità articolare (Haugen IK, et al. Ann Rheum Dis 2016). È stato inoltre evidenziato che l’edema midollare dell’osso, oltre alla sinovite, correlava con la progressione radiografica a due anni in pazienti affetti da HOA, suggerendo che entrambi i tessuti articolari potrebbero essere importanti bersagli per lo sviluppo di terapie innovative (Damman W, et al. Ann Rheum Dis 2017).

Recentemente è stato pubblicato un lavoro che ha dimostrato come la riduzione del dolore fosse associato ad una diminuzione dell’infiammazione sinoviale ma non delle lesioni midollari dell’osso in una popolazione di 85 pazienti (116 articolazioni) affetti da HOA (di cui 24 presentavano erosioni) (van Beest S, et al. Osteoarthritis Cartilage 2019). L’infiammazione sinoviale potrebbe essere un possibile target per lo sviluppo di farmaci efficaci nell’HOA (van Beest S, et al. Osteoarthritis Cartilage 2019).

L’utilizzo di sequenze RM pesate chiamate “susceptibility weighted imaging (SWI)”, che permettono di ottenere un contrasto unico nel suo genere, che non dipende strettamente dai tempi di rilassamento T1, T2 o dalla densità protonica dei tessuti, ma dalle differenti caratteristiche magnetiche degli stessi, si sono rivelate utili nell’individuare al meglio le erosioni della mano nell’EHOA (Ulas ST, et al. Skeletal Radiol 2019). In particolare, è stato visto che la tomografia assiale computerizzata (TAC) era in grado di evidenziare la presenza di erosioni in 16 pazienti su 37, mentre SWI e T1w/SWI avevano un’accuratezza diagnostica superiore rispetto a T1w da sola (Ulas ST, et al. Skeletal Radiol 2019). Perciò, l’aggiunta di SWI a un protocollo MR standard ha il potenziale di migliorare il rilevamento delle erosioni nelle mani aumentando la specificità e l’accuratezza.

Infine, recentemente sono state proposte tecniche imaging ibrido, tra cui PET/CT e PET/MRI che hanno il vantaggio di consentire la valutazione simultanea di cambiamenti morfologici e metabolici (Hayashi D, Clin Experimental rheumatol 2018).

 

Conclusioni

I ricercatori hanno numerosi indicatori per valutare la gravità dell’HOA. Questo è estremamente importante così come distinguere la forma HOA dall’EHOA. Una diagnosi precoce dell’EHOA rende possibile trattare/gestire la malattia per prevenire o ritardare la progressione del danno. Le valutazioni di laboratorio sono particolarmente utili dato che pochi biomarcatori hanno dimostrato essere sensibili. Per riassumere, i raggi X rappresentano il gold standard per la diagnosi differenziale tra EHOA e HOA, ma la RM può rilevare i primi segni della malattia che riflette l’aspetto infiammatorio relativo all’edema osso e l’ecografia con il power-doppler può rilevare e confermare l’infiammazione locale.

Punti chiave
  1. L’artrosi erosiva (EHOA), è una variante poco comune di artrosi (OA) della mano, caratterizzata da un quadro clinico più aggressivo rispetto alla forma non erosiva. L’esordio è spesso acuto, con coinvolgimento delle interfalangee prossimali e distali, caratterizzata da dolore intenso, calore, arrossamento, tumefazione e limitazione funzionale.
  2. L’EHOA si differenzia dall’artrosi nodale oltre che per le manifestazioni cliniche anche per alcune peculiarità radiologiche. I segni radiologici caratteristici dell’EHOA sono: le erosioni centrali, le deformità a “dente di sega”, ad “ali di gabbiano” e l’evoluzione talvolta verso l’anchilosi.
  3. Per l’aspetto bioumorale dell’EHOA, non sono stati segnalati ad oggi biomarcatori sierici di malattia, sono risultati più elevati rispetto alla forma non erosiva: PCR ultrasensibile, VES, recettore solubile dell’interleuchina-2, porzione N-terminale del Collagene tipo 2 (Coll2-1) e la sua forma nitrata (Coll 2-1 NO(2)), neoepitopo di clivaggio del collagene Col2-3/4C (short), telopeptide C-terminale del collagene di tipo I (CTX-I), mieloperossidasi (MPO), resistina e visfatina.
  4. I criteri diagnostici dell’EHOA si basano sull’evidenza radiografica della presenza di erosioni, tuttavia le nuove metodiche di imaging come l’ecografia e la risonanza magnetica nucleare si sono rilevate particolarmente utili per valutare la presenza di infiammazione sinoviale e/o di edema osseo.

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