IL DOLORE NELL’ARTROSI: MECCANISMI FISIOPATOLOGICI ED INQUADRAMENTO CLINICO

AUTORI:

Fausto Salaffi1, Sonia Farah1, Marco Di Carlo1, Marina Carotti2

1Clinica Reumatologica-Dipartimento di Scienze Cliniche e Molecolari, Università Politecnica delle Marche 2Dipartimento di Radiologia, Ospedali Riuniti, Università Politecnica delle Marche, Ancona,

Introduzione

L’artrosi è stata descritta come “una condizione caratterizzata da dolore articolare da usura nel tempo, per la quale nessuna altra causa è evidente” (WHO Scientific Group, World Health Organ Tech Rep Ser. 2003). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che il dolore nell’artrosi sia il segno principale nel 25% degli adulti e sia responsabile di disabilità, di scadimento della qualità della vita e di grave impatto bio-psico-sociale per l’individuo e per la Società nel suo insieme. Nel corso degli anni, un numero crescente di contributi della letteratura ha fornito una serie di acquisizioni che pongono la necessità di una rivisitazione ad ampio raggio dell’inquadramento clinico dell’artrosi e suggeriscono che il dolore artrosico non riconosce un “esclusivo” meccanismo nocicettivo (o infiammatorio), ma rappresenti la sintesi clinica in cui, segni e sintomi sono suggestivi di altri meccanismi fisiopatologici (neuroinfiammazione, sensibilizzazione periferica e centrale, interazioni neuroimmuni) che divengono, una volta identificati, “nuovi” bersagli, nei cui riguardi orientare il trattamento, non solo antinocicettivo o antinfiammatorio, ma anche “modulatorio” e “mechanism oriented” (Dieppe PA, et al. Lancet. 2005; Neogi T. Clin Exp Rheumatol. 2017). La sensibilizzazione periferica e centrale del dolore ed i fattori psico-sociali rivestirebbero un ruolo altrettanto importante (Dieppe PA, et al. Lancet. 2005; Neogi T. Clin Exp Rheumatol. 2017) (Figura 1).

Figura 1. Meccanismi fisiopatologici del dolore nel soggetto artrosico

 

Epidemiologia e clinica del dolore nell’artrosi

L’artrosi è una delle principali cause di dolore muscolo-scheletrico e il predittore più rilevante di disabilità e handicap nei paesi occidentali (Litwic A, et al. Br Med Bull. 2013). Nel 2005 è stato stimato che oltre 26 milioni di persone negli Stati Uniti soffrivano di artrosi (Lawrence RC, et al. Arthritis Rheum. 2008). La prevalenza varia notevolmente a seconda della definizione utilizzata, dell’età, del sesso e dell’area geografica. In Italia, la prevalenza complessiva stimata di artrosi sintomatica risulta pari all’ 8,95% (95% CI 6,81 – 10,7). La sede anatomica più comune è il ginocchio, con una prevalenza del 5,39 % (95 % CI 3,41-7,99), seguita dalla mano (1,95%, 95% CI 1,22 – 2,48) e dell’anca (1,61%, 95% CI 1.39 – 1.87) [6]. La gonartrosi è stata identificata come una delle principali cause di disabilità fisica in soggetti anziani (Salaffi F, et al. Clin Exp Rheumatol. 2005; Guccione AA, et al. Am J Public Health 1994; Salaffi F. Reumatismo 2003; Salaffi F, et al. Aging Clin Exp Res. 2005; Salaffi F, et al. J Rheumatol. 1991). Diversi studi hanno confermato il marcato impatto multidimensionale dell’artrosi sulla qualità di vita correlata alla salute (Health-Related Quality of Life – HRQOL) (Guccione AA, et al. Am J Public Health 1994; Salaffi F. Reumatismo 2003; Salaffi F, et al. Aging Clin Exp Res. 2005; Salaffi F, et al. J Rheumatol. 1991).  La malattia comporta anche un rilevante onere per la comunità, in termini di perdita di giornate lavorative (assenteismo), di presenteismo, di pensionamento anticipato e di incremento dei costi sociali. L’elevato onere economico dell’artrosi è il risultato dei costi diretti ed indiretti. I costi indiretti rappresentano le risorse perdute, compreso il valore della perdita di produttività a causa della malattia. I costi diretti sono, perlopiù, legati alle spese mediche (Leardini G, et al. Arthritis Rheum. 2001).

 

Meccanismi biochimici e molecolari nel dolore artrosico

Il dolore nell’artrosi è ritenuto essere il risultato di una complessa interazione tra danno tissutale, infiammazione locale e sistema nervoso centrale e periferico. Diversi studi hanno dimostrato che il dolore è subordinato a tre differenti meccanismi fisiopatologici: nocicettivo, neuropatico e nocipatico (o dolore centralizzato) (Mease PJ, et al. J Rheumatol 2011) (Figura 1). Il dolore nocicettivo deriva dalla stimolazione dei nocicettori periferici. Il segnale nocicettivo viene trasmesso attraverso il midollo spinale al cervello da un percorso ascendente ed attraverso numerosi neurotrasmettitori (es. glutammato, aspartato, sostanza P ecc.) (Schaible HG, et al. Adv Drug Deliv Rev 2006). Gli impulsi periferici provenienti dai nocicettori sono trasmessi al midollo spinale attraverso tre tipi di fibre: mieliniche Aδ (gruppo III) e amieliniche C (gruppo IV) (che innervano la capsula articolare, la sinovia, i legamenti periarticolari, i menischi, il periostio adiacente e l’osso subcondrale) e mieliniche Aß (gruppo II), che innervano la capsula articolare, la membrana sinoviale, le borse periarticolari, il tessuto adiposo, i legamenti, i menischi ed il periostio adiacente. Le fibre Aß sono, di solito, attivate ​​dal movimento articolare, mentre le fibre Aδ e C sono attivate ​​da stimoli meccanici, chimici o termici (Mease PJ, et al. J Rheumatol 2011). La maggiore o minore percezione del dolore dipende dall’entità degli impulsi che dal cervello raggiungono il midollo spinale attraverso le vie discendenti (Mease PJ, et al. J Rheumatol 2011). Il dolore può anche essere generato dall’attivazione di vie nocicettive centrali (ad esempio, disregolazione della neurotrasmissione o danni al sistema nervoso centrale), senza coinvolgere direttamente i nocicettori periferici (Mease PJ, et al. J Rheumatol 2011). Sebbene l’artrosi sia classificata come un’artropatia non infiammatoria, numerose evidenze hanno dimostrato che diverse citochine e metalloproteinasi vengono rilasciate a livello articolare in corso di artrosi. Recenti studi, hanno inoltre dimostrato la relazione tra il dolore e la risposta infiammatoria nell’artrosi, individuando significative associazioni tra le misure del dolore psicofisico ed i livelli di citochine pro-infiammatorie (Mease PJ, et al. J Rheumatol 2011). Il fatto che i pazienti artrosici siano maggiormente sensibili agli stimoli pressori in più sedi anatomiche, suggerisce, inoltre, un ruolo dell’amplificazione centrale del dolore. In particolare, il dolore e l’infiammazione sembrerebbero svolgere un ruolo interattivo (Lee YC, et al. Arth Care Res 2011). E’ dimostrata la presenza, a livello articolare, di numerose citochine e metalloproteinasi direttamente coinvolte nella degenerazione cartilaginea (Lee YC, et al. Arth Care Res 2011). Le citochine (es. fattore di necrosi tumorale – TNF) e gli altri mediatori pro-infiammatori (interleuchine, chemochine, fattori di crescita del tessuto nervoso, leucotrieni, prostaglandine e metalloproteinasi di matrice), rilasciati nel tessuto danneggiato e nel midollo spinale, possono essere responsabili di una cascata di eventi, con conseguente sensibilizzazione periferica, aumentata sensibilità di neuroni nocicettivi afferenti primari e ipereccitabilità dei neuroni nocicettivi (Schaible HG, et al. Ann N Y Acad Sci 2002). I mediatori infiammatori (es. bradichinina, sostanza P) rilasciati dai condrociti, come conseguenza di danno cartilagineo, inducono iperalgesia e contribuiscono ad amplificare un circolo vizioso in cui ulteriori mediatori dell’infiammazione vengono rilasciati (Mease PJ, et al. J Rheumatol 2011). L’infiammazione macrofago-mediata può contribuire all’angiogenesi, stimolando le cellule endoteliali ed i fibroblasti a produrre fattori angiogenici (ad esempio fattore di crescita endoteliale vascolare) (Bonnet CS, et al. Rheumatology 2005; Benedetti S, et al. Clin Biochem. 2010). Inoltre, anche l’ipossia presente nel sito infiammatorio può rappresentare un ulteriore fattore di stimolo dell’angiogenesi ed essere causa di infiammazione (Mease PJ, et al. J Rheumatol 2011; Bonnet CS, et al. Rheumatology 2005; Benedetti S, et al. Clin Biochem. 2010). Benchè il dolore in corso di artrosi venga considerato una combinazione di dolore nocicettivo, meccanismi neuropatici possono anch’essi contribuire all’esperienza del dolore in alcuni pazienti con artrosi. Tale aspetto è particolarmente verosimile se si considera che il danno articolare locale può portare ad un coinvolgimento dei nervi periferici e, di conseguenza, ad un dolore di tipo neuropatico (Schaible HG, et al. Exp Brain Res 2009).

Relazione fra danno strutturale e dolore nell’artrosi

Sebbene la cartilagine articolare sia avascolare e non innervata e, pertanto, incapace di generare direttamente il dolore, altre strutture articolari quali, l’osso subcondrale, il periostio, i legamenti periarticolari, i muscoli periarticolari, la sinovia e la capsula articolare sono riccamente innervati e rappresentano possibili fonti nocicettive del dolore nell’artrosi (Figura 2).

Figura 2. Danno strutturale e fonti nocicettive del dolore in corso di artrosi del ginocchio

 

Il dolore viene riferito dal 10% dei soggetti con un quadro radiografico normale e dal 40-79% nei pazienti con significative alterazioni radiografiche (Creamer P, et al. Osteoarthritis Cartilage 1998). Solo la metà dei pazienti con evidenze radiologiche di artrosi, lamentano dolore (Dieppe PA. J Rheumatol 2005; Duncan R, et al. Ann Rheum Dis 2007). Tale aspetto potrebbe essere ricondotto alla scarsa sensibilità della radiografia convenzionale nel rivelare il danno cartilagineo o le altre possibili alterazioni strutturali, responsabili del dolore articolare. Nell’artropatia degenerativa le alterazioni ossee si distinguono in quelle della fase distruttiva, quali l’eburneazione ossea, la formazione di cisti e la deformazione dei capi articolari, in particolare nel segmento articolare sotto pressione, e quelle della fase produttiva, cioè del rimodellamento progressivo, rappresentato principalmente dagli osteofiti (Figura 3). In seguito alla progressiva scomparsa della cartilagine articolare, l’osso sub-condrale va incontro a vari gradi di cellularità ed ipervascolarizzazione, evidenziabile radiologicamente con l’eburneazione ossea, secondaria alla formazione di nuovo tessuto osseo trabecolare, particolarmente evidente sulle superfici ossee strettamente contrapposte. Le cisti rappresentano un segno importante e vengono definite in vario modo: cisti sinoviali, cisti sub-condrali, psuedocisti subarticolari, pseudocisti necrotiche e geodi (Figura 3). Le cause del dolore nei pazienti con artrosi sono, pertanto, diverse ed includono: le microfratture subcondrali, il “rimodellamento” osseo e del periostio, la formazione degli osteofiti, la riparazione ossea, le lesioni del midollo osseo e processi di “angina ossea” da riduzione del flusso sanguigno e ad aumento della pressione intra-ossea (Felson DT, et al. Ann. Intern. Med 2001) (Figura 3).

 

Figura 3. Alterazioni ossee evidenziabili in radiologia convenzionale, responsabili di dolore in corso di gonartrosi.

 

La risonanza magnetica (RM) consente la valutazione delle principali caratteristiche strutturali in corso di artrosi e la valutazione diretta del danno cartilagineo e sinoviale, dell’edema osseo intraspongioso e delle lesioni meniscali, responsabili del dolore articolare, e non visualizzabili alla radiografia convenzionale (Conaghan PG, et al. Osteoarthritis Cartilage 2006) (Figura 4). Recentemente, Javaid et al. (Javaid MK, et al. Arthritis Rheum 2012) e Carotti et al. (Carotti M, et al. Radiol Med. 2017) hanno documentato una significativa correlazione tra il dolore al ginocchio e le caratteristiche strutturali della gonartrosi, valutate con RM. Utilizzando tale metodica di imaging, significative alterazioni strutturali, come le lesioni del midollo osseo, dell’osso sub condrale (variazioni di spessore e dei margini), la sinovite ed il versamento, sono state correlate al dolore in corso di gonartrosi (Figura 4) (Javaid MK, et al. Arthritis Rheum 2012; Carotti M, et al. Radiol Med. 2017; Hill CL, et al. J Rheumatol 2001).

 

Figura 4. Caratteristiche alterazioni strutturali, visualizzabili alla risonanza magnetica, responsabili di dolore in corso di gonartrosi

 

Il coinvolgimento della membrana sinoviale assume una evidente rilevanza, poiché rappresenta una delle strutture articolari più riccamente innervate ed il tessuto adiposo peri-articolare (cuscinetti adiposi infra-rotuleo o sovra-patellare) appare come l’orgine del processo infiammatorio ed una ricca fonte di citochine pro-infiammatorie (Figura 5) (Zanetti M, et al. Radiology 2000; Bergman AG, et al. Skeletal Radiol 1994; Kornaat PR, et al. Radiology 2006; Roach HI, et al. Curr Drug Targets 2007).  La reazione sinoviale in corso di artrosi comprende l’iperplasia sinoviale, la fibrosi e l’ispessimento della capsula sinoviale. La sinovite è spesso presente nell’artrosi e diversi studi hanno dimostrato una correlazione con il dolore (Hill CL, et al. J Rheumatol 2001), anche in pazienti senza evidenti segni radiografici di artrosi. Le principali cause di dolore includono l’irritazione delle terminazioni nervose sensoriali all’interno della membrana sinoviale stessa da parte di osteofiti e l’infiammazione sinoviale dovuta, almeno in parte, al rilascio di prostaglandine, leucotrieni, proteinasi, neuropeptidi e citochine (Scanzello CR, et al. Arthritis Reum 2001). Nella sinovite reattiva in corso di artrosi recenti studi hanno, inoltre, evidenziato una up-regulation del nerve growth factor (NGF), che determina la liberazione di sostanze algogene come la bradichinina o le prostaglandine e l’attivazione chemiotassica dei leucociti polimorfonucleati con l’incremento della permeabilità vascolare. Inoltre, NGF e bradichinina sensibilizzano i recettori TRPV1. L’ispessimento sinoviale intorno al cuscinetto adiposo infrapatellare (corpo adiposo di Hoffa) (Figura 5), mediante RM senza mezzo di contrasto, ha dimostrato all’esame istologico in soggetti con gonartrosi segni di flogosi cronica (Scanzello CR, et al. Arthritis Reum 2001; Roemer FW, et al. Ann Rheum Dis 2011).

 

Figura 5. La figura mostra la posizione del cuscinetto adiposo infra-patellare (1) e la presenza di altri cuscinetti adiposi, di minore dimensione, nell’articolazione del ginocchio: cuscinetto di adiposo posteriore (2), cuscinetto adiposo supra-patellare anteriore (3) e cuscinetto adiposo posteriore, sopra-patellare (4). Il cuscinetto adiposo infra-patellare, o corpo adiposo di Hoffa, è localizzato nella regione inferiore della rotula posteriormente al tendine rotuleo. È coperto dalla capsula articolare (freccia bianca) dalla porzione anteriore e dalla membrana sinoviale (freccia nera) sulla superficie rivolta verso l’articolazione. Pertanto, essa è localizzata in sede intra-capsulare, ma extra-sinoviale.

 

Inoltre, la presenza della sinovite consente di prevedere i cambiamenti dal punto di vista anatomico. In un recente studio RM in pazienti con gonartrosi (Scanzello CR, et al. Arthritis Reum 2001; Roemer FW, et al. Ann Rheum Dis 2011), è stata documentata una correlazione significativa tra la sinovite ed il danno osteocartilagineo. Le lesioni del midollo osseo svolgono un ruolo altrettanto rilevante nella genesi dei sintomi in corso di gonartrosi e nella progressione del danno strutturale (Zanetti M, et al. Radiology 2000; Bergman AG, et al. Skeletal Radiol 1994; Kornaat PR, et al. Radiology 2006; Roach HI, et al. Curr Drug Targets 2007), sebbene non sempre sia stata documentata una stretta correlazione (Zanetti M, et al. Radiology 2000; Bergman AG, et al. Skeletal Radiol 1994; Kornaat PR, et al. Radiology 2006; Roach HI, et al. Curr Drug Targets 2007). La RM permette la visualizzazione dell’edema osseo intraspongioso, che appare come un’area di iperintensità di segnale nelle scansioni con soppressione del grasso, T2-pesate (Zanetti M, et al. Radiology 2000; Bergman AG, et al. Skeletal Radiol 1994; Kornaat PR, et al. Radiology 2006; Roach HI, et al. Curr Drug Targets 2007). E’ nota la significativa correlazione tra l’edema osseo intraspongioso, fibrosi del midollo midollare e necrosi dell’osso trabecolare. Ulteriori cause del dolore osseo includono processi di periostite associati alla formazione degli osteofiti, microfratture subcondrali ed angina ossea, causata dalla diminuzione del flusso sanguigno e dalla elevata pressione intraossea (Ashraf S, et al. Curr Opin Rheumatol 2008). Il fenomeno dell’ipertensione intraossea, sembrerebbe essere confermato da studi flebografici, condotti in pazienti con artrosi, che documentano un’alterazione della vascolarizzazione intraossea ed un aumento della pressione a livello del midollo osseo a carico dell’articolazione coinvolta (Ashraf S, et al. Curr Opin Rheumatol 2008). L’aumento della pressione a livello dell’osso trabecolare, i processi di “ischemia” ed i meccanismi infiammatori rappresentano possibili elementi responsabili del dolore, sebbene le cause precise non siano ancora del tutto identificate (Ashraf S, et al. Curr Opin Rheumatol 2008).  

 

Fisiopatologia del dolore neuropatico in corso di artrosi

Nel dolore articolare in corso di artrosi, una fonte ulteriore di dolore con caratteristiche neuropatiche, documentato in oltre il 20% dei pazienti (Dimitroulas T, et al. Semin Arthritis Rheum. 2014) può derivare dal coinvolgimento dei nocicettori periferici, che possono essere sensibilizzati da un processo infiammatorio sinoviale o da un danno dell’osso subcondrale (Figura 6). La cartilagine articolare è separata dall’osso subcondrale da una zona di cartilagine calcificata che subisce gravi alterazioni nella composizione e struttura cellulare in corso di artrosi. Tale processo è caratterizzato dalla penetrazione dei vasi sanguigni all’interno della cartilagine calcificata dall’osso subcondrale e la presenza di strutture nervose perivascolari può spiegare, in parte, la componente dolorosa correlata alla neoangiogenesi. Le fibre nervose amieliniche possono amplificare la risposta infiammatoria attraverso il ” rilascio ” di sostanze vasoattive (neuropeptidi), come la sostanza P ed il Calcitonin gene related peptide (CGRP). In seguito al danno dei nocicettori periferici, il segnale di dolore origina inizialmente dal sito assonale lesionato, ma con il tempo sono afflitte altre porzioni: dai gangli delle radici dorsali alle corna dorsali, ai neuroni di ordine superiore, fino a livello corticale. Il dolore neuropatico quindi è indicativo di un danno che si è verificato a carico dei sistemi di conduzione o delle stazioni di integrazione e trasmissione del sistema nervoso centrale o periferico oppure, in assenza di una lesione tissutale, è dovuto a disturbi di conduzione e trasmissione a carico del sistema nervoso periferico o centrale. L’estensione dei fenomeni che generano il dolore è dovuta alle lente reazioni biochimiche del sistema nervoso e, studi recenti, chiamano in causa alterazioni strutturali a livello molecolare nel tessuto nervoso per mutazioni genetiche di canali ionici, oppure l’attivazione della microglia nel corno dorsale del midollo spinale.

Figura 6.  Coinvolgimento dei nocicettori periferici dal danno articolare in corso di artrosi (sinovite, danno subcondrale).

 

Il dolore neuropatico si manifesta come un dolore a carattere persistente e parossistico, indipendentemente dalla presenza di uno stimolo evidente (Tabella I). Clinicamente, la componente neuropatica del dolore articolare, induce dolore per stimoli che normalmente non sarebbero tali (allodinia) o produce un’aumentata risposta ad uno stimolo capace di provocare sensazioni dolorose (iperalgesia), con aree di attivazione dolorosa più ampie ed un dolore di più lunga durata. Tale sintomatologia può assumere caratteri di continuità o subcontinuità, può presentarsi con esacerbazioni parossistiche e viene sovente descritto come lancinante o urente (che brucia), con episodi a tipo di “scossa elettrica” o “puntura trafittiva”; può essere accompagnato ad alterazioni della percezione sensitiva, sia di tipo negativo (cioè una riduzione della risposta paragonata a quello che viene definito lo standard normale es: ipoestesia, ipoalgesia), sia di tipo positivo (cioè una risposta esagerata es: disestesia, allodinia) (Tabelle I e II). Risulta, in generale, difficile definire con precisione i confini della sua localizzazione topografica ed è altrettanto difficoltosa l’dentificazione delle differenti componenti che concorrono al suo determinismo.

 

 

Alla concomitante degenerazione assonale (degenerazione Walleriana) è associata la produzione del NGF. Il NGF ed il suo recettore neurotrofico tirosina chinasi di tipo 1 (TrkA), formano un complesso che può essere trasportato, con andamento retrogrado, dai terminali periferici al corpo cellulare situato nel ganglio della radice dorsale, dove può dare inizio alla sintesi di neurotrasmettitori (il peptide P correlato al gene della calcitonina), all’espressione di recettori (recettore bradichinina, P2X3, TRPV1, ASIC3), ai fattori di trascrizione (attivazione del fattore di trascrizione 3-ATF-3) (Ji RR, et al. Neuron 2002). Il NGF modula, inoltre, il traffico e l’espressione delle proteine strutturali che costituiscono i canali ionici voltaggio-dipendenti (Gould HJ 3rd, et al. Brain Res 2000). Tali canali, iperespressi, si distribuiscono, ad elevata concentrazione, lungo l’assone e la membrana cellulare del neurone a livello gangliare, con conseguente iperattività, ubiquitaria ed ectopica dei TRPV1 (Transient Receptor Potential Vanilloid 1) e dei canali ionici (in particolare i canali del sodio voltaggio-dipendenti), da cui deriva una massiccia depolarizzazione neuronale con conseguente elevato firing in partenza dal primo neurone afferente sensitivo, diretto verso il sistema nervoso centrale. I TRPV1 sono canali recettoriali ampiamente espressi a livello delle fibre sensoriali di piccolo diametro (fibre C e Aδ), ma sono presenti anche a livello del sistema nervoso centrale e di altre membrane fisiologiche di molti tessuti. Il recettore TRPV1 è considerato un cruciale induttore del dolore e mediatore dell’infiammazione nel sistema nervoso periferico, ed è selettivamente espresso nelle cellule della microglia, principali cellule immunitarie del cervello. Questa localizzazione strategica permette al TRPV1 di svolgere un ruolo chiave come sensore e modulatore della neuroinfiammazione. Inoltre, è stato dimostrato come nel dolore cronico il TRPV1 venga funzionalmente espresso anche nei neuroni piramidali della corteccia. In questa sede il TRPV1 modula direttamente l’eccitabilità’ neuronale, elemento determinante delle alterazioni dell’attività cerebrale nei pazienti affetti da dolore cronico (Marrone MC, et al.  Nat Commun. 2017). Recenti studi, hanno evidenziato come una locale somministrazione a livello intra-articolare di antagonista dei TRPV1 possa attenuare la sensibilizzazione delle fibre nervose a livello articolare e la risposta al dolore, evitando gli effetti collaterali sistemici (Hiroyuki Ishiguro, et al. Annals of Joint  2016). La cartilagine articolare è separata dall’osso subcondrale da una zona di cartilagine calcificata che subisce gravi alterazioni nella composizione e struttura cellulare inl corso di OA. Questo processo è caratterizzato dalla penetrazione dei vasi sanguigni all’interno della cartilagine calcificata dall’osso subcondrale e la presenza di strutture nervose perivascolari può spiegare, in parte, la componente dolorosa correlata alla neoangiogenesi (Figura 4). Le fibre nervose amieliniche possono amplificare la risposta infiammatoria attraverso il ” rilascio ” di sostanze vasoattive (neuropeptidi), come la sostanza P ed il CRGP. Inoltre, l’ipossia nel tessuto infiammato è un potente stimolatore di angiogenesi, causando un’ulteriore infiammazione e dolore, attraverso l’innervazione e la formazione di nuovi vasi. In seguito al danno dei nocicettori periferici, il segnale di dolore origina inizialmente dal sito assonale lesionato, ma con il tempo sono afflitte altre porzioni: dai gangli delle radici dorsali alle corna dorsali, ai neuroni di ordine superiore, fino a livello corticale.

 

Sensibilizzazione centrale del dolore nell’artrosi

Il fenomento della sensibilizzazione centrale (central sensitivity syndrome) del dolore in corso di artrosi può essere definito come uno stato in cui neuroni attivati ​​e sensibilizzati da stimoli nocicettivi diventano iperresponsivi ad ulteriori stimoli. Un persistente, intenso o ripetuto stimolo proveniente dai nocicettori periferici può modulare la trasmissione dell’impulso attraverso i neuroni spinali e determinare una diminuzione della soglia di attivazione e di aumento dell’eccitabilità sinaptica (Neogi T. Clin Exp Rheumatol. 2017) (Figura 7). Tale fenomeno di ‘Wind-up’ o sommatoria temporale si riferisce ad un meccanismo spinale in cui ripetute stimolazioni nocive si configurano come una lenta sommatoria temporale che viene vissuta come un dolore crescente. Sono state altresì descritte alterazioni delle vie discendenti inibitorie che nascono dalla sostanza grigia periacqueduttale e dal midollo ventrale rostrale nel tronco encefalico che possono condurre allo sviluppo ed al mantenimento del fenomeno di sensibilizzazione centrale (Figura 7). Inoltre, la sensibilizzazione dei neuroni a livello del midollo, oltre che da stimoli nocicettivi periferici, può essere determinata dai cambiamenti del tono regolatorio (mancanza di inibizione o stimolazione), solitamente garantiti dalle vie discendenti dei centri sovraspinali.  E’ noto come anche l’attivazione gliale sia fortemente implicata nello sviluppo e nel mantenimento del dolore cronico. In tale distretto cellulare, vari fattori quali: Il tumor necrosis factor-alpha (TNF-α), l’interleuchina-1 beta (IL-1β), o l’IL-18 costituiscono eventi cruciali nel processo della sensibilizzazione centrale. Il TNF- α è alla base dell’ipereccitabilità neuronale; è una delle citochine infiammatorie più studiate e più potenti ed è è espressa da microglia, astrociti e neuroni DRG sensitivi primari. L’IL-1β, è un’altra citochina pro-infiammatoria espressa sia dalla microglia che dagli astrociti nel midollo spinale, mentre l’IL-18 –strettamente correlata all’IL-1β – è indotta nella microglia a seguito del danno ai nervi o alla esposizione cronica agli oppioidi. Anche le chemochine, come la CCL2 (nota anche come monocytes chemoattractant protein 1 – MCP-1), o le CCR2, CCL21-CC, CXCL1 e CCL7, prodotte dagli astrociti del midollo spinale, facilitano la genesi del dolore neuropatico. CCL2 e CCR2, in particolare, sono coinvolte nelle interazioni di segnale tra i neuroni sensitivi primari e la microglia del midollo spinale.  La proteina della matrice extracellulare fibronectina nel midollo spinale, il fattore di trascrizione dell’interferone o fattore normativo 8 (IRF8), espresso dalla microglia, l’ATP (un importante neurotrasmettitore nocicettivo) e il NGF sono capaci di attivare i toll-like receptors P2X4Rs, una classe di recettori espressi dalla glia stessa, che agiscono sulla sintesi ed il rilascio del fattore neurotrofico derivato dal cervello, BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor) (Wollf CJ. et al. J Pain 2009). Il Basic Fibroblast Growth Factor (bFGF) è indotto negli astrociti del midollo spinale per sostenere il dolore neuropatico. È, pertanto, possibile che le eventuali modifiche della soglia del dolore siano il risultato dell’iperattività o della ridotta attività dei centri stimolatori o di quelli inibitori sopraspinali. Diversi studi hanno dimostrato che i pazienti con artrosi, così come in altre malattie reumatiche croniche, presentino una soglia del dolore inferiore rispetto a soggetti sani ed una poco efficiente attività analgesica discendente (Figura 7). Il ruolo del dolore centralizzato in corso di artrosi è stato confermato in numerosi studi randomizzati e controllati che hanno dimostrato l’efficacia dei farmaci in grado di alterare la neurotrasmissione del dolore a livello centrale, come la serotonina o la noradrenalina (ad esempio, duloxetina o triciclici).

 

Figura 7. Meccanismi di sensibilizzazione centrale del dolore in corso di artrosi

 

Cause costituzionali e bio-psico-sociali del dolore in corso di artrosi

La fonte del dolore nell’artrosi, così come in altre sindromi dolorose regionali, non è ancora del tutto chiarita. Nell’artrosi il dolore è considerato il risultato di meccanismi bio-psico-sociali, in cui ogni fattore biologico, psicologico e sociale svolge un ruolo significativo. Il dolore è considerato il maggiore predittore di disabilità (Salaffi F, et al. J Rheumatol. 1991). I fattori psicosociali possono influenzare la severità del dolore ed includono l’età del paziente, il sesso, la sede anatomica, l’indice di massa corporea (BMI), le comorbidità, il livello di istruzione ed i fattori psicologici (ad esempio le variazioni del tono dell’umore).

Età. Anche se i soggetti anziani sono più vulnerabili al dolore in corso di artrosi, non sempre è stata documentata una differenza significativa tra sottogruppi di pazienti artrosici stratificati per età (sotto i 65 anni vs oltre 65 anni). Varie osservazioni hanno, anche, documentato l’associazione tra l’età e la presenza e la gravità del dolore e della funzione fisica nell’artrosi (Salaffi F, et al. J Rheumatol. 1991; Lethbridge-Cejku M, et al. Arthritis Care Res 1995).

Sesso. Il sesso femminille è associato ad un aumento di incidenza e della severità del dolore nella gonartrosi (Felson DT, et al. Arthritis Rheum 2007) ma non di altri (Dore D, et al. Arthritis Res Ther 2010). I nostri risultati confermano tali osservazioni (Felson DT, et al. Arthritis Rheum 2007). E’ stato, tuttavia, segnalato che le differenze legate al genere possono derivare dal fatto che le donne manifestano una maggiore sensibilità al dolore (Kornaat PR, et al. Eur Radiol 2007). Ulteriori studi hanno dimostrato differenze tra i generi anche in termine di differente comportamento al dolore, presumibilmente correlato a diversi fattori, quali l’attività fisica, lo stato civile o l’età (Cicuttini FM, et al. Osteoarthr Cartil 1996).

Sede anatomica. Sono note le differenze nella severità dei sintomi dolorosi a seconda della sede anatomica interessata. L’artrosi primaria delle mani è risultata associata ad una minore severità del dolore, mentre i livelli di dolore erano sostanzialmente simili tra i pazienti con gonartrosi e coxartrosi. Quest’ultima sede è stata ritenuta essere tuttavia più dolorosa della gonartrosi. I pazienti con artrosi polidistrettuale (o generalizzata) hanno riportato più elevati punteggi del dolore (Cimmino MA, et al. Reumatismo 2004; Salaffi F, et al. Rheumatology 2000; Allen KD, et al. Osteoarthritis Cartilage 2009).

Sovrappeso corporeo. Il sovrappeso è più comune in soggetti con gonartrosi, rispetto alla popolazione generale. Mentre l’indice di massa corporea (BMI) rappresenta un fattore di rischio ben noto di gonartrosi radiologica, il suo rapporto con la severità del dolore è meno certo. In una coorte di pazienti con gonartrosi, il BMI è risultato correlato al dolore ed alle limitazioni dell’attività quotidiana. Fra i diversi meccanismi proposti per spiegare tale associazione figura l’aumento dello stress meccanico (Oliveria SA, et al. Epidemiology. 1999). 

Comorbidità. E’ dimosrata l’associazione tra l’artrosi, le caratteristiche radiografiche e la presenza di comorbidità (Addimanda O, et al. Scand. J. Rheumatol 2012). In particolare, sono segnalate significative associazioni cliniche tra l’artrosi della mano e l’ipercolesterolemia (odds ratio: 2,10) e la tiroidite autoimmune (odds ratio: 4,85). Massengale et al. (Massengale M, et al. PLoS One. 2012) ha, inoltre, documentato una significativa correlazione fra malattia coronarica e severità del dolore cronico nell’artrosi della mano.

Livello di istruzione. La ridotta scolarità è stata riportata fra i fattori di rischio di dolore e limitazione funzionale, nella gonartrosi (Salaffi F, et al. Rheumatology 2000), nei punteggi del WOMAC (Salaffi F, et al. Osteoarthritis Cartilage. 2003) e della scala mental component summary (MCS ) dell’SF36 (Salaffi F, et al. Aging Clin Exp Res. 2005; Salaffi F, et al. J Rheumatol. 1991). Il meccanismo attrraverso il quale il livello di istruzione influenza la severità del dolore o i processi psico-affettivi correlati non è tuttora chiaro, ma potrebbe essere riconducibile ad una maggiore capacità di autocontrollo del dolore. 

Fattori psicologici. Il dolore è da tempo riconosciuto come una complessa esperienza sensoriale ed emozionale. Ciascun individuo manifesta una sensazione soggettiva del dolore, influenzata dalle esperienze personali e dal profilo genotipico. Una piena comprensione del dolore richiede, pertanto, la considerazione dei processi ambientali, psicologici e sociali che mediano la risposta alla malattia. L’importanza dei fattori psicologici nella comprensione dei meccanismi fisiopatologici del dolore artrosico è nota (Creamer P, et al. J Rheumatol 1999).  E’ dimostrato come il pessimismo ed il catastrofismo si associno ad una ridotta capacità e funzione fisica. Studi osservazionali hanno, inoltre, documentato che pazienti con artrosi esprimono una diminuita soddisfazione nella vita e che la depressione e l’ansia rappresentano i principali predittori (Creamer P, et al. J Rheumatol 1999).

Punti chiave
  1. Il dolore nell’artrosi è di origine multifattoriale, generato sia nell’articolazione che nei tessuti molli circostanti e si ritiene possa essere condizionato da meccanismi nocicettivi, neuropatici e da un’ipereccitabilità del sistema nervoso periferico e centrale.
  2. L’infiammazione articolare innesca una cascata di eventi con conseguente sensibilizzazione periferica, aumento della sensibilità dei neuroni nocicettivi afferenti primari ed un’ipereccitabilità dei neuroni nocicettivi nel sistema nervoso centrale. Recettori del dolore sono stati documentati a livello della membraba sinoviale, dei legamenti, della capsula articolare, dell’osso subcondrale e dei tessuti circostanti, con l’eccezione della cartilagine articolare.
  3. Ulteriori cause del dolore nell’artrosi, includono microfratture subcondrali, formazione di osteofiti, rimodellamento e riparazione ossea, lesioni del midollo osseo (edema osseo intraspongioso) ed angina ossea, causata dalla diminuzione del flusso sanguigno e dalla elevata pressione venosa intraossea.
  4. Fattori centrali alterano l’elaborazione del dolore, modulandone la “soglia percettiva”, in modo tale da aumentare o diminuire la sensazione di dolore.

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