SEMEIOTICA DELLA COLONNA TORACICA

AUTORI:

Fabiola Atzeni, Elisabetta Gerratana, Ignazio Francesca Masala

Unità di Reumatologia, Università degli studi di Messina, Italy

Introduzione

ANATOMIA

Il tratto toracico della colonna vertebrale è costituito da 12 vertebre dorsali poste tra il segmento cervicale e quello lombare del rachide. Le vertebre dorsali sono posizionate una sopra l’altra e sono in rapporto tra loro tramite due strutture articolari, una posteriore ed una anteriore. La stabilità è garantita da molteplici strutture ligamentose e dalla muscolatura paravertebrale. Quest’ultima ha anche il ruolo fondamentale di rendere possibile la motilità volontaria. La colonna vertebrale in un adulto di media statura è lunga circa 75 cm nel maschio e circa 65 cm nella femmina. La porzione toracica è di circa 25-30 cm. Il rachide non è rettilineo, ma presenta delle curve sia sul piano sagittale che su quello frontale. Il tratto dorsale è atteggiato in cifosi sul piano sagittale e presenta, nella maggior parte dei casi, una curva di pochi gradi a convessità verso destra sul piano frontale.

MOTILITA’

Il rachide dorsale ha una possibilità di movimento piuttosto limitata ed è la porzione della colonna vertebrale dotata di minore mobilità, questo soprattutto a causa dei suoi rapporti con le coste. Nel suo insieme il rachide presenta i seguenti movimenti fondamentali: flessione, estensione, inclinazione laterale verso destra o sinistra e rotazione in senso orario o anti-orario. Tutti questi movimenti sono la somma dei piccoli movimenti che avvengono tra le varie vertebre grazie alle connessioni articolari sopradescritte. Il grado di motilità è estremamente variabile da soggetto a soggetto a seconda di sesso, età, allenamento e caratteristiche individuali. Il movimento di flessione consiste nel piegamento in avanti della colonna e quello di estensione nel piegamento indietro. In realtà definire l’estensione in questo modo è scorretto. Quest’ultima consiste, infatti, nel ritorno alla posizione verticale dopo la flessione. L’ulteriore inclinazione posteriore dovrebbe essere definita flessione dorsale o iperestensione. La flessione comporta l’allontanamento delle apofisi spinose e lo schiacciamento dei dischi ed è limitata dalle strutture ligamentose posteriori. L’iperestensione comporta i fenomeni opposti ed è limitata dalla pressione una sull’altra delle faccette delle articolazioni interapofisarie. Nella flessione la cifosi dorsale si accentua, mentre nell’iperestensione si riduce fino a far assumere al tratto in questione una direzione rettilinea. In linea generale, un giovane adulto ha una flessione di circa 90° ed è dotato di un’ampiezza di iperestensione di circa 1/3 della flessione. In entrambe queste attività, soprattutto nella flessione, entra peraltro anche in gioco la motilità delle articolazioni coxo-femorali. L’inclinazione laterale della colonna vertebrale è di circa 60° per lato e si effettua soprattutto a livello lombare. Il rachide dorsale si inclina di pochi gradi prevalentemente nella sua parte inferiore. La rotazione del capo a stazione eretta e senza muovere il bacino è di circa 90°, di cui circa 60-70% di pertinenza cervicale ed i rimanenti 20-30° di appannaggio del resto del rachide.

 

Valutazione obiettiva

L’esame obiettivo della colonna toracica non può prescindere dalla valutazione globale del rachide.

ISPEZIONE

Viene condotta con il paziente in posizione eretta e, in prima istanza, valuta se sono presenti anomalie della normale postura, quali un’eccessiva cifosi o la presenza di curvature scoliotiche. L’ispezione consente anche di valutare la presenza di asimmetrie scapolari, quale, ad esempio, la scapola alata, e la morfologia della cassa toracica nel suo complesso. Successivamente si invita il paziente ad eseguire i movimenti propri della colonna vertebrale, tenendo sempre presente conto della grossa variabilità dovuta ad età, sesso e stato fisico generale. Va rammentato che la colonna dorsale contribuisce in minima parte alla motilità generale del rachide.

FLESSIONE

Per valutare questo movimento si chiede al paziente di piegarsi in avanti senza flettere le ginocchia. Con la flessione, è, di solito, possibile arrivare con la punta delle dita a pochi centimetri dal pavimento. Una distanza dita-pavimento superiore ai 30 cm può essere indicativa di una limitazione di questo movimento, sempre tenendo conto dell’età del paziente. Al contrario, se il paziente riesce a toccare il pavimento con il palmo delle mani siamo di fronte ad un quadro di iperlassità ligamentosa. Deve essere, comunque, tenuto presente che le articolazioni coxo-femorali possono contribuite notevolmente a compensare eventuali deficit di flessione della colonna vertebrale. Un riscontro interessante può essere fornito dalle variazioni della distanza punta delle dita/terra durante la giornata. In caso di rigidità su base flogistica si osserva una notevole diminuzione di questa distanza nella seconda parte della giornata. Con la flessione si può verificare se una curvatura scoliotica è funzionale o strutturale. Nel primo caso la curvatura scoliotica tenderà a scomparire, nel secondo caso si noterà un’asimmetria della regione dorsale dovuta alla comparsa, dal lato convesso della curva scoliotica, di un gibbo costale. Durante la flessione oltre alla capacità di movimento si potrà notare l’eventuale comparsa di dolore. Questa manovra, infatti, comportando un carico sulla parte anteriore della colonna (corpo vertebrale e disco intervertebrale) può generare dolore se sono presenti patologie in questa sede. È importante osservare anche come il paziente riassume la postura eretta. In caso di patologie dolorose questo movimento verrà eseguito lentamente e talvolta con l’esecuzione di manovre antalgiche.

 

ESTENSIONE

L’estensione si valuta chiedendo al paziente di piegarsi all’indietro. È una manovra di scarsa utilità, fornendo solo informazioni grossolane sulla mobilità generale del rachide. Al contrario della flessione questo movimento comporta un carico sulla parte posteriore della vertebre e può, quindi, provocare dolore in caso di patologia delle articolazioni inter-apofisarie.

 

INCLINAZIONE LATERALE

La valutazione dell’inclinazione laterale fornisce informazioni interessanti, dato che questo è uno dei primi movimenti ad essere compromesso in caso di spondilite anchilosante. Si esegue facendo inclinare il paziente, prima da una parte e poi dall’altra, chiedendogli di cercare di non muovere spalle e bacino, di non allargare le braccia e di non piegare il collo. Osservando la colonna si noterà che il tratto lombare e quello toracico si piegheranno a formare una curva abbastanza armonica (Figura 1). In caso di rigidità del tratto dorsale questa curvatura sarà spezzata da una linea dritta in corrispondenza di questo segmento.

 

Figura 1. Inclinazione laterale

 

ROTAZIONE

La rotazione spontanea si valuta invitando il paziente a ruotare il dorso da una parte e dall’altra. È movimento che esplora la mobilità del rachide dorso lombare in maniera grossolana e viene eseguito raramente. È invece molto utile per testare la funzionalità del rachide cervicale

 

MANOVRE PASSIVE DI MOBILITA’

L’esame obiettivo prosegue facendo sedere il paziente sul lettino da visita ed eseguendo una serie di manovre. Vengono nuovamente eseguiti in maniera assistita e forzando fino al massimo della possibilità di escursione tutti i movimenti del rachide sopra descritti. In questo modo si ha una percezione più precisa dello stato funzionale della colonna. Soprattutto l’estensione e la rotazione forzate possono essere indicative di iniziale limitazioni funzionali (Figura 2). Una manovra che valuta in maniera specifica l’iperestensione del rachide dorsale consiste nel tenere fermo il rachide con una mano situata al passaggio dorso-lombare e cercare di iperestendere la colonna dorsale Ad ogni modo va sempre tenuto presente che anche in assenza di patologie questo tratto del rachide può essere quasi inestensibile. Oltre a valutare la funzionalità, la mobilizzazione forzata può provocare dolore nella zona in cui sono presenti patologie del rachide, nella maggior parte dei casi a livello lombare. Si ricorda che in caso di intensa sintomatologia dolorosa a livello lombare o dorsale le manovre di mobilizzazione possono essere non eseguibili a causa della contrattura antalgica.

 

Figura 2. Manovra di rotazione passiva della colonna dorso-lombare

 

PERCUSSIONI DEI PROCESSI SPINOSI

Sempre a paziente seduto si esegue la percussione dei processi spinosi, solitamente con un martelletto. In caso di grossolana patologia vertebrale (quale ad esempio una frattura somatica) la percussione del metamero corrispondente provocherà intenso dolore.

 

PALPAZIONE PUNTI VALLEIX

La palpazione in corrispondenza dell’emergenza delle radici nervose dalla colonna vertebrale (punti di Valleix) può rivelarsi dolorosa in caso di radicolopatia. Si tratta, però, di una manovra molto aspecifica e poco sensibile.

 

TEST DI MISURAZIONE

In campo reumatologico la flessione viene solitamente misurata con il test di Shober. Quest’ultimo si esegue tracciando una prima linea all’altezza delle spine iliache posteriori superiori (che corrispondono alla fossette di Venere) ed una seconda 10 cm sopra la precedente. Si chiede, quindi, al paziente di piegarsi in avanti e si misura la distanza tra le due linee tracciate in precedenza (Figura 3). Normalmente la differenza tra lo stato di partenza e quello di arrivo è superiore ai 5 cm. Valori inferiori ai 3 cm indicano un deficit della flessione. Esiste anche un test di Shober modificato. Questa variante si esegue tracciando, sempre a partire dalle fossette di Venere una linea 5 cm sotto questo punto ed un’altra a 10 cm in direzione craniale. Si chiede, quindi al paziente di piegarsi in avanti, si misura la distanza tra queste due linee e si fa la differenza con la distanza iniziale di 15 cm. Normalmente tale differenza è di circa 7 cm; valori inferiori ai 4 cm vengono considerati patologici. Deve essere, comunque, ricordato che il test di Shober misura la motilità lombare e che la capacità di flessione del rachide toracico lo influenza in maniera irrilevante. Per quest’ultima, di fatto, non esistono manovre clinimetriche specifiche. L’inclinazione laterale si misura con un test di standardizzato che consiste nel segnare una linea sulla coscia del paziente all’altezza delle punta delle dita e di marcare quindi il punto di arrivo delle dita dopo l’inclinazione eseguita come sopra riportato. Normalmente l’escursione è di 12-18 cm, sempre tenendo a mente le ovvie riduzioni legate all’ètà. Sono da considerarsi patologici valori della distanza tra le due linee minori di 10 cm. Questo test valuta sia la colonna dorsale che quella lombare. L’unico test clinimetrico che valuta solo il tratto dorsale della colonna dorsale è la misurazione dell’espansibilità della cassa toracica. Quest’ultima è data, dalla motilità delle coste che a sua volta dipende in gran parte dalle articolazioni costo-vertebrali e costotrasversarie. Questo test valuta, quindi, la funzionalità di queste articolazioni. Si esegue misurando la circonferenza toracica a livello del IV spazio intercostale o, nelle donne, subito sotto il seno, prima in massima espirazione e poi in massima inspirazione (Figura 4). In soggetti normali la differenza è di circa 5-6 cm, con grosse variazioni a seconda di sesso ed età. Valori inferiori a 2,5 cm, in assenza di patologie polmonari rilevanti e di deformazioni della cassa toracica, sono, comunque, da considerarsi patologici. La misurazione dell’espansibilità toracica è utile non solo per avere un dato quantitativo sulla funzionalità delle articolazioni tra coste e vertebre, ma anche come strumento diagnostico nel sospetto di spondilite anchilosante. Una perdita completa della motilità toracica è appannaggio solo delle forme gravi ed evolute di questa malattia, ma una limitazione parziale può essere un suo segno precoce. Lo strumento clinimetrico più utilizzato per misurare nella sua globalità la motilità della colonna vertebrale in corso di spondiloartrite assiale e il «Bath Ankylositis Spondylitis Metrology Index» (BASMI) che consiste nel dare un punteggio ad una serie di posture e movimenti e nel sommare, quindi, i singoli punteggi per avere lo score globale. Quest’indice è composto da distanza trago-muro, rotazione cervicale, inclinazione laterale (come da descrizione sopra riportata), flessione (utilizzando il test di Shober modificato) e distanza intermalleolare massima. La misurazione dei vari componenti del BASMI può essere eseguita in tre modi definti 2 fasi, 10 fasi e lineare. Nei primi due modi il punteggio di ogni item varia, rispettivamente, da 1 a 2 e da 1 a 10, con il terzo modo deve essere calcolato con una formula apposita. Per tutti e tre metodi sono fornite delle tabelle di riferimento. Il BASMI a 2 fasi è, per la sua semplicità, di gran lunga il più utilizzato, anche se l’ASAS («Assessment of SpondyloArthritis international Society»), il gruppo internazionale di riferimento per le spondiloartriti, suggerisce di utilizzare quello a 10 fasi o quello lineare.

 



Figura 3. Test di Shober

ALTRE MANOVRE

La palpazione in corrispondenza della articolazioni intertrasversarie può elicitare dolore in caso di patologia in questa sede, ma si tratta di una manovra estremamente poco specifica. Con la palpazione delle muscolatura paravertebrale si può apprezzarne dolenzia e contrattura. La muscolatura dorsale può essere interessata da varie sindromi miofasciali, che comportano dolore e contrattura della muscolatura interessata. Un reperto senza il quale non si può fare diagnosi di sindrome miofasciale è la presenza dei «trigger point», ossia di punti in cui la palpazione consente di apprezzare un indurimento nodulare e scatena una sintomatologia dolorosa che il paziente riferirà essere quella di cui soffre abitualmente. Va, infine, ricordato che la muscolatura paravertebrale può essere contratta e dolente come riflesso di patologie osteo-aticolari della colonna.

 

Principali patologie della colonna toracica 

Le patologie a carico della colonna dorsale possono essere di origine meccanica, flogistica o neoplastica. L’inquadramento di queste patologie contempla in prima istanza anamnesi ed esame obiettivo, ma per la diagnosi definitiva è quasi sempre necessario ricorrere a tecniche di imaging (radiografia tradizionale, TAC e RMN).

 

PATOLOGIE MECCANICHE

La scoliosi, ossia un’eccessiva curvatura sul piano frontale accompagnata da una rotazione di grado variabile, interessa spesso il tratto dorsale delle colonna vertebrale. La sua gravità dipende dal grado di curvatura. Quando questa è inferiore ai 25% non è sintomatica e con comporta rilevanti alterazioni della dinamica del rachide. A gradi molto elevati si ha una grave compromissione della funzionalità della colonna e di conseguenza della gabbia toracica. In età giovanile la sintomatologia dolorosa è di solito modesta anche per forme piuttosto pronunciate. La manifestazione principale a questa età è costituita dalla deformazione della colonna e dalle conseguenti alterazioni dalla postura. La non correzione delle curvatura scoliotica comporta un carico meccanico sbilanciato sulla colonna vertebrale e quindi un’artrosi precoce. Le persone in giovane età affette da scoliosi devono essere subito valutate dall’ortopedico che deciderà il trattamento correttivo più adatto al singolo caso.

L’ipercifosi dorsale in assenza di scoliosi è solitamente appannaggio delle persone anziane ed è dovuta ad usura dei dischi accompagnata da una minore tenuta ligamentosa e una diminuzione dell’altezza dei corpi vertebrali. Il cedimento strutturale vero e proprio di natura osteoporotica di quest’ultimi può contribuire in maniera rilevante alla accentuazione delle cifosi. In questo caso si avrà anche un accorciamento sensibile della lunghezza del rachide. L’artrosi colpisce costantemente il rachide con l’avanzare degli anni. Comporta una riduzione delle spessore dei dischi, la comparsa di sindesmofiti sul corpo vertebrale ed interessamento delle articolazioni inter-apofisarie costituito da usura della cartilagine e formazione di osteofiti. La scarsa motilità della colonna toracica rende ragione della minora gravità dell’artrosi in questo tratto e della minore intensità della sintomatologia a questo livello rispetto a quella usualmente riferita a livello lombare e cervicale. Inoltre, sempre a causa della modesta possibilità di movimento, nel rachide dorsale è raro il riscontro di erniazione posteriore del nucleo polposo del disco intervertebrale, di spondolisi e spondilodilistesi e della cosiddetta sindrome delle faccette da artrosi delle interapofisarie. Sono, invece, relativamente più frequenti le erniazioni del nucleo polposo all’interno dei corpi vertebrali (ernia di Schmorl) che non hanno, di solito, rilevanza clinica. L’angolo anteriore dei corpi vertebrali può essere interessato dalla malattia di Scheuermann, una forma di ostecondrite giovanile che comporta la sua mancata saldatura al resto della vertebra. Nelle forme più gravi il soma vertebrale assumerà una forma trapezoidale e, a seconda del numero di vertebre coinvolte, si possono avere cifosi dorsali di entità variabile. Inoltre, l’anomala morfologia del corpo vertebrale può favorire, nel tempo, l’usura del disco intervertebrale. In casi di osteoporosi o osteomalacia i corpi vertebrali possono fratturarsi in maniera più o meno grave per traumi lievi o anche spontaneamente. Si va da lievi cedimenti delle limitanti vertebrali a schiacciamenti completi del corpo vertebrale (vertebra plana). I metameri dorsali più frequentemente interessati sono D12 e D7-D8. La comparsa di un dolore molto intenso che peggiora col carico in una zona abbastanza circoscritta è molto suggestiva di frattura del corpo vertebrale. La percussione anche lieve della vertebra interessata comporterà un dolore molto intenso ed indicherà la sede da studiare radiograficamente. Cedimenti non improvvisi del corpo vertebrale possono, però, anche essere asintomatici e manifestarsi solo con riduzione dell’altezza e accentuazione della cifosi. Fa parte delle patologie meccaniche della colonna vertebrale anche la iperostosi scheletrica diffusa, meglio nota come DISH («diffuse idiopathic skeletal hyperostosis»). Il rachide dorsale è costantemente interessato da questa malattia, con fenomeni di iperostosi esuberante prevalenti sulla sua parte destra. La sintomatologia associata a questa condizione è un dolore moderato e, soprattutto, la rigidità dei tratti interessati. Per la loro natura non flogistica possono essere incluse in questo capitolo anche le sindromi miofasciali e la sindrome fibromialgia. Tra prime la forme più comune è la cosiddetta «fibrosite del romboide», che nulla ha di flogistico, ma è una sindrome miofasciale di questo muscolo. Il sintomo tipico a livello dorsale di queste condizioni è il dolore, che può essere scatenato dalla pressione di «trigger point» specifici. Inoltre è sempre presente una contrattura delle muscolatura interessata. Per quanto riguarda la sindrome fibromialgia, oltre al dolore e alla contrattura della muscolatura paravertebrale, esisterà tutto un corteo di sintomi somatici che faciliterà la diagnosi.

 

Patologie flogistiche

La patologie flogistiche del rachide possono essere di natura infettiva o non-infettiva. Le forme infettive sono le osteomieliti e, soprattutto, le spondilodisciti. Quest’ultime sono infezioni batteriche che interessano elettivamente la cosiddetta unità vertebrale, ossia quella zona costituita da due metà di corpi vertebrali e dal disco tra loro interposto. I germi in causa possono essere i più vari, ma solitamente sono dei piogeni (stafilococco nella maggior parte dei casi). Forme particolari di infezione disco-vertebrale sono quelle da Brucella e da bacillo della tubercolosi (malattia di Pott). La sintomatologia è caratterizzata da febbre, malessere generale e dolore nella sede interessata. La diagnosi verrà sostenuta dall’imaging. In particolare nelle fasi iniziali le tecniche di indagine più sensibile è la risonanza magnetica. Per una definizione causale precisa è necessario isolare il germe a livello ematico o nella sede del processo infettivo. Le forme non-infettive fanno parte del grande capitolo delle spondiloartriti (SpA). Sono incluse nelle SpA la spondilite anchilosante, l’artrite psoriasica, l’artrite reattiva, le artriti enteropatiche (associate a malattia di Crohn o colite ulcerosa), le spondiloartriti giovanili e delle forme che non potendo essere classificate in maniera precisa vengono definite SpA indifferenziate. Da pochi anni l’ASAS ha stabilito che, oltre ad essere definite una per una, le SpA possono anche essere suddivise in due gruppi principali: quelle assiali e quelle periferiche. Le prime interessano prevalentemente la colonna vertebrale e le articolazioni sacro-iliache, mentre le seconde colpiscono soprattutto le articolazioni sinoviali e le entesi periferiche. Le SpA assiali interessano, quindi, elettivamente il rachide. A livello vertebrale queste malattie possono comportare flogosi in diversi sedi. L’infiammazione della giuntura discovertebrale da luogo a delle lesioni tipiche all’imaging, definite lesione di Romanus, quando viene interessato l’angolo del corpo vertebrale, e lesione di Andersson, quando viene interessata la porzione centrale dell’unità vertebrale. La flogosi si può sviluppare, comunque, in tutte le entesi e in tutte le articolazioni del rachide, incluse le articolazioni costo-vertebrali. Con il tempo nelle sedi d’infiammazione si può verificare una neoapposizione ossea che condurrà alla progressiva perdita di funzione della colonna vertebrale. Alterazioni tipiche della apposizione ossea esuberante sono i sindesmofiti, l’ossificazione dei ligamenti longitudinali e l’anchilosi delle varie articolazioni diafisarie vertebrali. La sintomatologia delle SpA assiali è in prima istanza il dolore della sede interessata. Si tratta di dolore con caratteristiche flogistiche, ossia cronico, ad esordio insidioso, accompagnato da rigidità mattutina, che peggiora con il riposo, che migliora con il movimento e che tende a svegliare il paziente durante la notte. Al dolore possono accompagnarsi sintomi sistemici, quali malessere ed astenia, ed aumento degli indici di flogosi. La rigidità è un’altra manifestazione tipica della SpA assiale. In fase iniziale di malattia questa è dovuta all’infiammazione, mentre in fase evoluta dipende dall’anchilosi secondaria alla neoformazione ossea. La diagnosi è di solito confermata dall’imaging, costituito prevalentemente da radiografia tradizionale e RMN. Può essere utile ricercare l’antigene di istocompatibiltà HLA-B27, che nella spondilite anchilosante è presente fino all’80% dei casi. Un’altra patologia di natura flogistica che può interessare il rachide dorsale è la SAPHO (“synovitisacne-pustolosis-hyperostosis-osteomyelitis”). A livello della colonna vertebrale le manifestazioni di questa malattia sono molto simili a quelle delle SpA. Talvolta l’infiammazione ossea è particolarmente estesa ed arrivare ad interessare tutto il corpo vertebrale.

Punti chiave
  1. La colonna toracica è costituita da 12 vertebre dorsali che oltre ad essere unite tra loro si articolano con le parte posteriore delle coste.

  2. Il rachide dorsale è dotato di quattro movimenti: flessione, iperestensione, inclinazione laterale destra e sinistra. La sua mobilità è, comunque, limitata ed avviene in sincronia con quella del rachide lombare.

  3. La semeiotica della colonna dorsale fa parte della valutazione generale del rachide dorso-lombare. Valuta tutti i movimenti, la presenza di deformazioni e l’eventuale dolorabilità. Esistono alcuni test che misurano flessione ed inclinazione laterale del rachide dorso-lombare.

  4. La colonna toracica può essere colpita da patologie degenerative, metaboliche, flogistiche e neoplastiche.

Bibliografia
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