TECNICHE DI VALUTAZIONE DEL DOLORE CRONICO NELLE MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE

AUTORI:

Fausto Salaffi

Clinica Reumatologica-Dipartimento di Scienze Cliniche e Molecolari – Università Politecnica delle Marche

Introduzione

Benché il dolore sia un’esperienza soggettiva ed in quanto tale inidoneo ad essere misurato, vi è l’esigenza, comune a tutte le discipline scientifiche, di quantificare il dato clinico e/o sperimentale e sviluppare metodiche in grado di coniugare la soggettività dell’esperienza con la necessità di misurare l’oggetto stesso dell’osservazione. La difficoltà di valutare il dolore é legato, in generale, ai metodi di quantificazione di cui oggi disponiamo. L’esperienza dolorosa acuta, quella acuta ricorrente ed ancor più quella cronica non è fissa e predeterminata come un dolore sperimentale indotto in laboratorio, ma mutevole, varia nel tempo ed è caratterizzata da connotati psicologici spiacevoli, che improntano nella cronicità la personalità stessa del paziente. Il riconoscimento del dolore cronico persistente come un’entità a sé, che non ha più utilità e non é più un sintomo di lesione, ma diviene una vera e propria malattia, impone di differenziare questa situazione da altre più favorevoli e di evitare il viraggio dell’esperienza dolorosa acuta o acuta ricorrente in una condizione di sindrome da dolore cronico benigno o intrattabile. E’ per queste ragioni che si sono sviluppate indagini improntate ad una valutazione e misura del dolore cronico non sulla base della sola intensità, ma anche della dimensione motivazionale-affettiva e cognitiva-valutativa (Figura 1).

Figura 1. Composizione del dolore cronico nelle tre dimensioni sensoriale-discriminativa, affettiva-motivazionale e cognitiva-valutativa (Salaffi F, Sarzi-Puttini P, Atzeni F. How to measure chronic pain: New concepts. Best Pract Res Clin Rheumatol. 2015;29(1):164-86. doi: 10.1016/j.berh.2015.04.023).

 

Tale approccio, non solo aiuta il paziente ad esprimere il proprio dolore al momento dell’incontro, ma, se usato ripetutamente, può influenzare, più in generale, il modo in cui lo descrive. Esso, infatti, migliora la conoscenza individuale del dolore cronico e la capacità di comunicare. Inoltre, la sua utilità, oltre che puramente biometrica, é quella di far intuire al paziente, quasi sempre sfiduciato e scettico, che si intende parlare del suo dolore nei termini e nella misura da lui identificati; il che costituisce un immediato, istintivo e costruttivo ponte di fiducia. L’espressa preferenza di miglioramento del dolore nelle più frequenti malattie di interesse reumatologico (Figura 2) ed il crescente riconoscimento dell’opinione del paziente circa gli effetti degli interventi d’assistenza sanitaria e dell’impatto del dolore cronico sullo stato di salute ha favorito lo sviluppo di scale e di questionari orientati alla valutazione del dolore dei suoi effetti disabilitanti che hanno trovato un crescente impiego in ambito reumatologico.

Figura 2. Preferenze di miglioramento nelle differenti aree di salute. Il dolore rappresenta l’area di salute nella quale la maggior parte dei pazienti reumatici esprime una speranza di miglioramento (Salaffi F, et al. Validation of an Italian version of the arthritis impact measurement scales 2 (ITALIAN-AIMS2) for patients with osteoarthritis of the knee. Gonarthrosis and Quality of Life Assessment (GOQOLA) Study Group. Rheumatology (Oxford) 2000;39:720-7).

Misura del dolore: scale di valutazione

Le misurazioni algometriche in ambito clinico, ed in particolare nel campo delle malattie muscoloscheletriche, sono gravate da profonde connotazioni emotive e non esiste re­lazione psicofisica tra stimolo fi­sico ed inten­sità della percezione. Non può sorprendere, quindi, la varietà delle metodiche applicate alla misura del dolore in tale condizione che non include solo la componente sensoriale del dolore, ma anche le manipolazioni soggettive del paziente.

Un mezzo semplice ed efficace, è lo schema di intervista denominato “PQRST”, facile da ricordare poichè richiama le onde dell’elettrocardiogramma (Figura 3),: cosa lo provoca (e cosa lo allevia), qualità (punge, strappa, opprime), irradiazione (dov’è il dolore e dove si irradia), severità o intensità, tempo (continuo, discontinuo, si accentua di notte).

Figura 3: Tracciato elettrocardiografico normale. Onda P: rappresenta la contrazione degli atri (depolarizzazione); Intervallo PR: tempo che impiega l’onda di depolarizzazione a percorrere sistema di conduzione elettrica del cuore dal nodo seno atriale al nodo atrioventricolare e fascio di His; Segmento PR: linea isoelettrica fra la fine dell’onda P e l’inizio del complesso QRS. Complesso QRS: è formato dalle onde Q, R ed S insieme; Onda T: esprime il rilassamento dei ventricoli (ripolarizzazione). Tutte insieme le onde P, Q, R, S e T costituiscono il complesso PQRST.

 

In ambito quantitativo questo complesso modello multidimensionale permette di distinguere tre principali componenti o canali di risposta del soggetto al dolore: fisiologico o oggettivo, soggettivo e comporta­mentale.

Componente oggettiva. Le tecniche psicofisiche applicate alla misurazione del dolore hanno contribuito ad ampliare le nostre conoscenze dei meccanismi di percezione sensoriali. Sebbene si tratti, in generale, di metodiche di laboratorio di induzione del dolore mediante stimoli controllati nell’intensità, durata ed intervallo di ripetizione, applicati in ordine crescente o decrescente con varie modalità (meccaniche, chimiche, termiche ed elettriche) e della conseguente valutazione dei parametri di risposta (soglia di percezione, soglia di reazione e soglia di tolleranza, soglia differenziale), essi hanno trovato estese applicazioni anche nella valutazione del dolore patologico. In particolare, fra le tecniche di induzione del dolore con metodi meccanici, ha avuto larga diffusione quella effettuata con gli “algometri a pressione”, costituiti da una barra collegata ad una molla, mediante i quali è possibile esercitare una pressione graduale e misurabile in Kg/cm2.  L’algometria pressoria é stata, infatti, il principale mezzo di valutazione utilizzato nel tentativo, sia di confermare il concetto di fibromialgia che di valutarne la risposta al trattamento. Sebbene tali punti di dolorabilità (tender point) vengano considerati una caratteristica peculiare di questa diagnosi, il loro numero, la sede e le modalità di misurazione della dolorabilità (o più correttamente dell’iperalgesia) sono tuttora discussi (Figura 4).

Figura 4. Sedi anatomiche dei “tender points” (Wolfe F, Smythe HA, Yunus MB, et al. The American College of Rheumatology (ACR) 1990 criteria for classification of fibromyalgia. Arthritis Rheum 1990;33:160-72)

 

Sono state adottate, come indici algometrici, sia la soglia dolorifica (discriminazione o qualità nocicettiva), sia la tolleranza al dolore, che riflette la riluttanza a ricevere ulteriori stimoli, ma i meccanismi alla base di questi due parametri di risposta sono assai diversi. E’, comunque, difficile indurre questo stimolo in modo “random” o includere stimoli sovra­massimali e non è possibile evitare un certo grado di previsione del dolore nel soggetto. Inoltre, sia la lunghezza della scala sia le dimensioni del piatto del dolorimetro, sia la velocità della variazione della pressione influenzano le risposte limi­nali.

Anche nella valutazione articolare dell’artrite reumatoide e più in generale dei reumatismi infiammatori cronici il ricorso a particolari tecniche di algometria pressoria, quali ad esempio l’indice di Ritchie o l’indice di Ritchie modificato per l’artrite psoriasica, rappresenta uno dei criteri “oggettivi” maggiormente impiegati.

L’indice articolare di Ritchie (Figura 5) è il più noto fra gli indici articolari di valutazione dell’artrite reumatoide. Esso prende in esame 53 articolazioni, esaminate mediante l’utilizzo di un “grading system” per la presenza di dolore alla pressione o di dolore alla mobilizzazione attiva e/o passiva. La valutazione viene effettuata secondo una scala ordinale a 4 livelli, dove: 0 = assenza di dolore, 1= articolazione dolente, 2 = articolazione dolente alla palpazione, il paziente sobbalza, 3 = articolazione dolente alla palpazione, il paziente sobbalza e si ritrae. Il punteggio dell’indice è, pertanto, compreso fra 0 e 78.  Per quanto attiene i compartimenti articolari (es. metacarpofalangee, interfalangee prossimali, metatarsofalangee ecc.), deve essere considerato globalmente il punteggio più elevato attribuito alla singola articolazione dell’intero compartimento.

Figura 5: Indice articolare di Ritchie per la valutazione delle articolazioni dolenti nell’artrite reumatoide (Salaffi F, Sarzi-Puttini P, Atzeni F. How to measure chronic pain: New concepts. Best Pract Res Clin Rheumatol. 2015;29(1):164-86. doi: 10.1016/j.berh.2015.04.023).

 

Ulteriori, utili informazioni concernenti l’esperienza algica possono essere ottenute con l’impiego delle “mappe del dolore”. Mediante tali mappe, ai pazienti viene chiesto di segnare (anche con matite colorate) le parti di una figura umana (o pittogramma) nelle quali viene avvertito il dolore in uno specifico momento.

La mappa può essere utile per valutare sede e distribuzione del dolore e rappresenta una registrazione definitiva nella cartella clinica del paziente. Le mappe del dolore possono essere utilizzate anche per valutare le variazioni del dolore in risposta al trattamento. A tale scopo l’utilizzo di descrittori verbali ordinati in sequenza crescente (ad esempio da 0 a 3) per ogni punto dolente consentono anche una misura quantitativa (“dolore totale soggettivo”). Un esempio pittorico di tale mappa del dolore è rappresentato dalla Present Visual Regional Pain Scale (PV-RPS) (Figure 6 e 7). Questo test, come misura percentuale della superficie corporea colpita o come punteggio del dolore soggettivo, può facilmente essere utilizzato da personale non specializzato ed offre un elevato grado di ripetibilità nel tempo.

Figura 6. Mappa pittorica del dolore (Present Visual Regional Pain Scale modificata) (Salaffi F, Sarzi-Puttini P, Atzeni F. How to measure chronic pain: New concepts. Best Pract Res Clin Rheumatol. 2015;29(1):164-86. doi: 10.1016/j.berh.2015.04.023.).

Figura 7. Mappa del dolore a 19 aree impiegata per la valutazione della fibromialgia(Salaffi F, Di Carlo M, Farah S, Atzeni F, Buskila D, Ablin JN, Häuser W, Sarzi-Puttini P. Diagnosis of fibromyalgia: comparison of the 2011/2016 ACR and AAPT criteria and validation of the modified Fibromyalgia Assessment Status. Rheumatology (Oxford). 2020 Oct 1;59(10):3042-3049).

 

Un ulteriore approccio all’applicazione delle mappe e dei pittogrammi è rappresentato dall’impiego di questo strumento nella valutazione del dolore in pediatria. Nei bambini più piccoli è precluso l’uso dell’auto-descrizione verbale dell’esperienza algica e del comportamento ad esso correlato, né tanto meno sono in grado di compilare una scala analogica visiva prima dei 7 anni. Le tecniche non verbali di raccolta dei dati risultano, quindi, molto più attendibili che negli adulti. Un esempio di queste tecniche innovative è rappresentato dalla scala delle espressioni facciali (Faces Pain Scale). Tali scale consistono, generalmente, in una successione di pittogrammi raffiguranti diverse espressioni facciali che rappresentano le variazioni di gravità del dolore (Figura 8). Il bambino è chiamato a valutare il suo dolore scegliendo il disegno che rappresenta al meglio il livello della propria esperienza dolorosa.

Figura 8: Esempio di scala delle espressioni facciali, per l’autovalutazione dell’intensità del dolore

 

Valutazione soggettiva. Il ruolo centrale dell’affettività nell’esperienza e nel comportamento doloroso giustifica i continui sviluppi dei metodi di valutazione e delle strategie terapeutiche che fanno dei processi emotivi il loro bersaglio. L’accettazione di schematismi multidimensionali dell’esperienza algica ha favorito la nascita e l’uso di tecniche innovative che indagano sulla sfera emotiva. I rapporti unidimensionali sulla severità del dolore così spesso usati nell’ambito della clinica e della ricerca hanno spesso fallito nel riflettere la complessa organizzazione dei sistemi sensoriali, affettivi, motivazionali e cognitivi (Figura 1) che interagiscono dinamicamente nel corso di ogni esperienza dolorosa. Inoltre, le conoscenze non ancora consolidate sulle intercorrelazioni tra le varie dimensioni hanno reso imperativo l’uso di misure multiple del dolore e delle sue componenti. La scelta di un metodo, piuttosto di un altro, deve essere basata fondamen­talmente su quattro fattori: a) abilità richiesta all’esaminatore (medico); b) rapidità di somministrazione; c) gradualità della risposta; d) indipendenza dal livello di scolarità (paziente). E’, inoltre, particolarmente importante conoscere il numero ed il tipo di va­riabili che tale metodo consente di esaminare. Nelle situazioni cliniche acute, ad esempio, si dovrà prestare più attenzione all’intensità, alla sede ed alle caratteristiche temporali della componente sensoriale del dolore. Per i pazienti con dolore cronico-ricorrente, invece, maggiore attenzione dovrà essere riservata alla gamma di fattori psicosociali e comportamentali. Agli effetti, poi, delle verifiche statistiche é preferibile disporre di valori per quanto possibile espressi in scale quantitative. L’unico vantaggio fornito dall’uso delle scale qualitative é quello di semplificare i calcoli, ma la perdita d’informazione che ne deriva non compensa detta semplificazione.

L’introduzione delle scale di valu­tazione verbale (verbal rating sca­les –VRS) e quelle numeriche (numerical rating scales – NRS) rappresenta il primo passo nello studio della componente soggettiva del dolore.

– Scale di valutazione verbale. Delle scale verbali di valutazione la più semplice é la scala nominale, con categorie definite da 4, 5, 6 o più attributi ordinati in sequenza crescente; dal dolore meno intenso al dolore più forte. L’uso di una tale scala, ad esempio con cinque categorie (Figura 9), sem­plice e ra­pida da un lato, comporta, tuttavia, una scarsa sensi­bilità nel rilevare le variazioni del sintomo dolore (ridotta responsività); inoltre, non è possibile quantificare l’entità della differenza tra i termini descrittivi del dolore.

Figura 9.  Scala di valutazione verbale (verbal rating scale –VRS) a 5 categorie di attributi

– Scale di valutazione numerica. Le scale numeriche (numerical rating scales – NRS), consistono in una successione numerica, generalmente, da 0 (assenza di dolore) a 10 (il più forte dolore immaginabile) (Figura 10). Per molteplici ragioni, è la scala che ha mostrato le migliori performance per la misurazione ed il monitoraggio dell’intensità del dolore. In particolare:

  • è affidabile e valida come indice di valutazione dell’intensità e della severità del dolore;
  • è applicabile sia nel dolore acuto che nel cronico;
  • è di semplice utilizzo per il personale sanitario, e non presenta particolari difficoltà di comprensione da parte dei pazienti, anche in quelli più anziani;
  • può essere proposta verbalmente e non richiede particolari apparecchiature.

Figura 10. Esempio di scala numerica ad 11 livelli per la valutazione del dolore (Salaffi F, Stancati A, Silvestri CA, Ciapetti A, Grassi W. Minimal clinically important changes in chronic musculoskeletal pain intensity measured on a numerical rating scale. Eur J Pain. 2004 Aug;8(4):283-91. doi: 10.1016/j.ejpain.2003.09.004)

 

La scala di valutazione numerica può essere somministrata adottando differenti strategie (ausili visivi, pittogrammi, regoli con cursore, moduli cartacei), a seconda le particolari situazioni cliniche.  L’uso dei termometri (Figura 11), anche somministrati con sistemi computerizzati, quali le App su smartphone (Figura 12) migliora sensibilmente la comprensibilità della scala e le caratteristiche psicometriche.

Figura 11. Termometri per la valutazione del dolore, della fatica, della funzione fisica, dell’ansia/depressione e dello stato generale di salute a 11 livelli (Salaffi F, Di Carlo M, Carotti M, Farah S. The Patient-Reported Outcomes Thermometer-5-Item Scale (5T-PROs): Validation of a New Tool for the Quick Assessment of Overall Health Status in Painful Rheumatic Diseases. Pain Res Manag. 2018 Oct 23;2018:3496846. doi: 10.1155/2018/3496846).

Figura 12. Esempi di termometri del dolore, della fatica e della funzione fisica adattati all’impiego su smartphone (Salaffi F, Farah S, Di Carlo M. Smartphone APPlications in the clinical care and management of Rheumatic Diseases. Acta Biomed. 2018, 27;89(1):7-26.).

 

Tali scale numeriche di valutazione del dolore dovrebbero essere proposte (verbalmente o visivamente) con la seguente formula: “Su di una scala da zero a dieci, dove zero rappresenta l’assenza di dolore, e dieci il peggior dolore immaginabile, qual è il Suo livello di dolore in questo momento?”. Un elemento di confusione per il paziente potrebbe presentarsi qualora avvertisse dolore in più di un distretto (articolare o muscolare) e dovesse, pertanto, stabilire il dolore da enfatizzare o minimizzare per esprimere un punteggio sulla scala. E’ compito del medico o dell’infermiere invitare il paziente a compiere una stima “globale” del proprio dolore, tenendo conto di tutti i distretti ed esprimendo, quindi, un giudizio di “media”. Un utile complemento all’indagine è quello di chiedere al paziente di rappresentare i suoi punti di dolore su un pittogramma di riferimento o “mappa pittorica del dolore” (Figure 6 e 7).

In generale occorre che venga assicurato il rispetto alcune regole basilari riportate nella Tabella I.

 

Scala analogica visiva. Una misura continua e più diretta del dolore é costituita dalle scale visive analogiche in cui la risposta del paziente è espressa su una scala grafica continua. Fra le metodiche di valutazione vi­sive ha avuto grande diffusione la “scala analogica visiva” (visual analogue scale – VAS) introdotta, prin­cipalmente per superare i li­miti delle scale de­scrit­tive. Questa scala continua, costituita da un segmento di retta (generalmente della lunghezza di 10 cm), alle cui estremità sono normalmente ancorate le indicazioni “assenza di dolore” e “il più forte dolore immaginabile” (Figura 13), non presenta pro­blemi di tipo semantico e consente al pa­ziente un numero di scelte teoricamente in­fi­nito. Il suo utilizzo é, inoltre, confortato dalla riproducibilità, dalla maggiore precisione e dal buon grado di corre­la­zione che questa scala razionale ha nei con­fronti delle altre scale categoriali. Si deve, tuttavia, considerare che alcuni pazienti (circa il 15-20%), specie se anziani e/o con basso livello di scolarità, possono incontrare difficoltà nell’esprimere l’intensità di una percezione soggettiva su una scala analogica, attraverso un procedimento psichico certamente più complesso rispetto all’espressione verbale. La critica principale alla scala analogica resta, tuttavia, quella che, come le precedenti, opera un’iper-semplificazione del “problema dolore”, in quanto ne mi­sura solo l’aspetto unidirezio­nale e cioé l’intensità. La ne­cessità di apporre una crocetta nel punto desiderato o di far scorrere un cursore implicano, inoltre, il possesso di una buona coordina­zione moto­ria ed acuità visiva.

Figura 13. Scala analogica visiva del dolore – VAS (Franchignoni F, Salaffi F, Tesio L. How should we use the visual analogue scale (VAS) in rehabilitation outcomes? I: How much of what? The seductive VAS numbers are not true measures. J Rehabil Med. 2012;44(9):798-9)

 

Scale cromatiche visive. Numerosi tentativi per risolvere tali problemi, in particolare sul versante psicologico, sono stati operati integrando la VAS con scale cromatiche, opportunamente adattate e semplificate, comunemente utilizzate in psichiatria. Tra queste me­to­diche visive il test acromatico o test dei grigi (Figura 14) e la scala cromatica analogica continua, in cui la scala ana­logica é sostituita da una striscia colorata sfu­mata in rosso, montata su un regolo, hanno dimo­strato qualche vantaggio pratico nei pazienti con ridotte performance psi­comoto­rie, come quelli dell’immediato periodo post-operato­rio, ma sono risultate carenti nel riflettere la complessa organizzazione dei si­stemi sen­soriali, af­fettivi e cogni­tivi. L’utilizzo consensuale di elementi grafici o di pittogrammi di riferimento come per esempio le Faces Pain Rating Scales viste precedentemente (Figura 14) migliora la comprensibilità del metodo, soprattutto negli anziani con bassa scolarità.

Figura 14. Scale analogiche acromatiche e cromatiche visive

Valutazione del dolore: metodo dei questionari e dei diari clinici

L’importanza del resoconto soggettivo nella quantificazione del dolore è stata riassunta da Gracely: “Una stima accurata dei meccanismi biochimici, neuronali e psicologici del dolore e dell’analgesia si basa ampiamente sullo studio del dolore nell’uomo. L’eccezionale capacità che ha l’uomo di verbalizzare apre una finestra su un’esperienza privata e solo attraverso tale esperienza il dolore viene definito”. L’interpretazione del “linguaggio del dolore” proposto da Melzack rappresenta uno sforzo suggestivo ed un notevole progresso nell’esplorazione della gamma di epressione semantica degli stati dolorosi nella loro multiforme complessità. Nel 1971 Melzack e Torgerson presentarono una lista di 102 voci otte­nute da pazienti, medici e da una cospicua letteratura sul dolore, che dovevano rappresen­tare i termini più utilizzati per definire il dolore in varie sindromi algologiche. Una seconda parte del loro lavoro venne dedicata al tentativo di graduare l’intensità di dolore sottinteso da ciascun descrittore di ogni sottoclasse. La possibilità di quantifi­care il dolore attraverso il rapporto verbale ha condotto ad una evoluzione di tale approccio fino alla for­mulazione definitiva del ques­tionario algolo­gico denominato McGill Pain Questionnaire (MPQ), costituito da 78 descrittori del dolore (Figura 15). Tali 78 termini descrittori del dolore sono suddivisi in 20 sottoclassi ognuna delle quali è caratterizzata da “un’etichetta” descrittiva che comprende un gruppo di voci considerate qualitativamente simili dalla maggior parte dei sog­getti. Alcune di queste voci sono indubbiamente dei sinonimi, altre sembrano si­nonimi, ma variano per intensità espressiva [sono infatti ordinati secondo un valore di intensità crescente all’interno di ognuna di esse, dal dolore meno in­tenso (lieve) al più intenso (atroce)], mentre altre presentano sfumature di si­gnificato che possono essere importanti per un paziente che cerca affannosamente di comunicare con un medico. Ad esempio nella sottoclasse pressione di punta, “lancinante” (lancinanting) é considerato essere più intenso di “punge come spillo” (pricking) e di “é come una pugnalata” (stabbing) e quindi li segue nell’ordine della classe citata. Le 20 sottoclassi di termini sono, infine, raccolte in quattro classi principali che definiscono le dimensioni dell’esperienza algica:

  1. classe sensoriale, suddivisa a sua volta in sottoclassi spaziali, temporali, pressorie, ter­miche ecc. (sottoclassi 1-10);
  2. classe affettiva, suddivisa in sottoclassi di tensione, paura, qualità e pro­prietà autonome (sottoclassi 11-15);
  3. classe valutativa, che contiene termini che descrivono la intensità globale soggettiva dell’esperienza algica (sottoclasse 16);
  4. classe miscellanea, che contiene descrittori sensoriali ed affettivi (sottoclassi 17-20).

Per le nostre esperienze abbiamo tratto dal quadro dei descrittori sola­mente 3 classi (delle quattro originali) integrando le prime tre sottoclassi della classe mista (miscellanea-sensoriali 17 e 18 e termica 19) nella classe sensoriale e l’ultima della stessa (sottoclasse 20, affettivo-valutativa) nella classe affettivo-emozionale.

Figura 15. Versione Italiana del ques­tionario algolo­gico McGill (McGill Pain Questionnaire-MPQ) (Da Maiani G, Sanavio E. Semantics of Pain in Italy: the Italian version of the McGill Pain Questionnaire. Pain 1985;22:399-405)

 

Gli indici di dolore ricavabili dal quadro semantico del MPQ sono i se­guenti:

  1. Il PRI (Pain Rating Index): L’intensità del dolore totale e di ogni classe può essere ottenuto secondo vari metodi di approccio:
  • Può derivare dal valore di rango all’interno di ogni sottoclasse delle parole scelte: in questo sistema di punteggio la prima parola di ogni sotto­classe ha un valore di 1, la seconda di 2, la terza di 3 e così via. La somma del valore di ogni sottoclasse origina il valore del PRI totale (PRI-tot.) e di ogni classe (sensoriale – PRI-S, affettivo-emozionale – PRI-A, e valutativa – PRI-E);
  • Può derivare dal valore di scala di ogni descrittore: il valore di scala é quel valore derivato dalle originali indagini di Melzack e Torgerson che ha consentito di ordinare in ogni sottoclasse i vari descrittori sinonimi.
  • Può essere calcolato un punteggio dimensionale: i valori di rango dei descrittori prescelti per ogni sottoclasse vanno sommati e la somma deve quindi essere divisa per il più alto punteggio teoricamente otte­nibile in quella determinata classe. I valori varieranno quindi da 0 a 1 a se­conda che il paziente non abbia scelto nessun descrittore in quella dimen­sione oppure abbia scelto i descrittori di maggior valore per tutte le sotto­classi di ogni classe. Questa procedura consente di ovviare al limite struttu­rale rappresentato dallo sbilanciamento interno del questionario che tende a privilegiare eccessivamente la pur preminente dimensione sensoriale dell’esperienza dolorosa a sfavore delle componenti affettive e valutative.
  • Una forma finale di computo del punteggio può derivare dall’analisi del quadro semantico del MPQ proposta da Melzack e consistente nel convertire i valori di rango in valori ponderati di rango, equivalenti a va­lori di scale quantitative (weighted-rank-method). Ciò consente una minore perdita di informazioni nelle indagini statistiche. Inoltre la “costante pon­derata di correzione” (weighted correction factor) per la quale vengono moltipli­cati i valori di rango di ogni descrittore é costantemente superiore ad uno per le sottoclassi affettive mentre é inferiore ad uno per la maggior parte delle sottoclassi sensoriali; questo riporta un riequilibrio strutturale all’interno del questionario dato che sovrastima il valore del PRI-A e sotto­stima il valore del PRI-S, senza modificare comunque il valore totale del PRI.
  1. le “parole di costellazione ” che definiscono il linguaggio dell’esperienza algica nel caso delle diverse patologie in esame: questi descrittori sono i termini scelti da almeno il 33% (un terzo) dei pazienti esaminati per ogni patologia;
  1. il NWC, (number of words chosen ) il numero delle parole scelte e la fre­quenza percentuale nella scelta di ogni sottoclasse;
  1. le “caratteristiche temporali dell’esperienza algica” secondo una sequenza di 9 aggettivi, suddivisi in tre serie di diversa gravità presenti anche nella stesura originale del MPQ.

Ideato con la finalità di valutare adeguatamente la realtà del dolore nella sua multiforme complessità, il MPQ si è affermato come la più diffusa scala multidimensionale semantica. Gli ambiti d’impiego del questionario, sia in campo clinico che sperimen­tale, sono molteplici:

  • valutazione quantitativa e qualitativa della percezione dolorosa;
  • valutazione differenziale tra dolore acuto, acuto ricorrente e cronico;
  • distinzione e quantificazione degli aspetti discriminanti emozionali-affettivi da quelli sensoriali;
  • valutazione nel tempo delle determinanti psicologiche e somatiche che lo controllano;
  • valutazione dell’efficacia terapeutica di un trattamento, sia esso di natura farmacologica, fisioterapica, comportamentale o chirurgica;
  • diagnostica differenziale fra le diverse esperienze algiche.

Particolarmente interessante risulta quest’ultima applicazione in una di­sciplina come la reumatologia, in cui il dolore costituisce il sintomo preminente. Dubuisson e Melzack, impiegando l’analisi discriminante multipla, riportarono che sindromi dolorose differenti erano individuate e de­finite da specifiche costellazioni di parole. Sulla base di quei “pattern” classificò la sindrome algica di ogni paziente, con un livello di accuratezza di circa l’80%. Appariva, dunque, evidente come la descrizione di diversi tipi di dolore comportava delle dif­ferenze apprezzabili e quantificabili, e che i pazienti affetti dalla stessa malattia o dalla stessa sindrome dolorosa utilizzavano termini molto simili per esprimere ciò che percepivano. Le osservazioni di Dubuisson e Melzack sono state confer­mate da altri autori, i quali, usando una forma modificata del MPQ in cui i descrittori del dolore venivano presentati in ordine casuale, hanno potuto diffe­renziare le forme di lombalgia cronica con prevalente componente “funzionale” da quelle con prevalente componente “organica”. Analoghi risultati sono stati riportati da altri autori in pazienti affetti da artrite reumatoide, da artrosi localizzata e polidistrettuale. La sommini­strazione del MPQ ha consentito una corretta classificazione, sulla base dei de­scrittori semantici nel 65% dei casi. In particolare l’artrosi localizzata era caratterizzata da un dolore persistente, alternato ad episodi di dolore “a pugnalata” provocati dai movi­menti articolari, mentre in corso di artrite reumatoide il dolore presentava caratteristiche ter­miche (“caldo”, “che scotta”). Nell’artrosi polidistrettuale non sono emerse qualità distintive del linguaggio, sebbene il dolore fosse descritto come più “diffuso”. Sono stati anche esaminati e confrontati qualitativamente e quantitativamente le caratteristiche del dolore in 50 pazienti con fibromialgia rispetto a quelle con artrite reumatoide. L’indagine, condotta mediante l’uso del MPQ, integrata con la misurazione dell’intensità del dolore (utilizzando una scala lineare di autovalutazione con punteggio da 0 a 100) con la localizzazione dei punti più dolenti (fissati in numero di 25 punti ai quali il paziente poteva attribuire un punteggio di intensità da 1 a 3), ha dimostrato punti di convergenza, in particolare: a) in entrambi i gruppi l’intensità del dolore era sovrapponibile; b) la definizione più utilizzata per descrivere il dolore era “aching” (dolore che fa male). Ciò che invece differenziava il dolore dei fibromialgici era la diffusione ad ampie aree anziché in regioni articolari. In questi pazienti alcune zone (regione lombo-sacrale, coscia e gamba, addome, testa ed anche) hanno, infatti, mostrato un interessamento circa quattro volte più frequente rispetto a quelli affetti da artrite reumatoide. Sebbene nei due gruppi di pazienti l’intensità dell’esperienza algica fosse sovrapponibile, alcune delle definizioni semantiche del dolore, hanno consentito di discriminare tra fibromialgia ed artrite reumatoide. In particolare, sono emerse sia un’evidente partecipazione emotiva che un’amplificazione sensoriale e spaziale del dolore così caratteristiche, da poter essere utilizzate nella diagnostica differenziale. Anche la percezione del dolore, appare essere differente in queste malattie. A tale riguardo, sono stati ulteriormente studiati pazienti con fibromialgia, con artrite reumatoide e soggetti sani di controllo mediante l’impiego di tre differenti sistemi di induzione sperimentale del dolore, di largo impiego nella pratica algometrica: a) stimolazione elettrica ad intensità crescente (da 0 a 7,5 mA) sul dorso della mano; b) pressione costante con un apposito algometro sul lato esterno dell’avambraccio; c) aumento graduale di pressione da 0 a 9 Kg/cm2 esercitata con dolorimetro nella regione radiale dell’omero, a cui è stato chiesto di indicare la soglia del dolore (pain threshold) e la tolleranza massima allo stimolo doloroso (pain tollerance). I risultati hanno dimostrato che entrambi i gruppi di pazienti con fibromialgia e con artrite reumatoide manifestavano una tolleranza al dolore significativamente più bassa rispetto a quella rilevata nei controlli normali, mentre la soglia del dolore é risultata assai più bassa nei fibromialgici rispetto ai pazienti reumatoidi e ai soggetti sani. Anche la nostra esperienza ci ha consentito di delineare un quadro sufficientemente chiaro dell’esperienza algica nella popolazione reumatologica esaminata: i pazienti con fibromialgia ed artrite reumatoide sembrano essere maggiormente impegnati sul fronte del dolore ed esprimono questo loro malessere con una scelta di descrittori del dolore nettamente aumentato rispetto alla artrosi. Per quanto attiene il linguaggio del dolore si può dire che in generale sembra esistere nell’esperienza algica della malattia di origine reumatologica un “rumore di fondo “, costituito da una serie di descrittori, al di sopra del quale emergono alcuni termini caratteristici di ogni patologia in esame. Il diverso numero delle parole di costellazione (15 per la fibromialgia e per l’artrite reumatoide e 8 per l’artrosi) induce a considerare che i termini più scelti dal paziente affetto da artrosi (“dà formicolio”, “stancante”, “sensibile al tocco”, “dà tormento”, “dà sofferenza”, “nauseante”) rappresentino il vero “rumore di fondo ” del dolore reumatologicI (Figura 16).

 

Figura 16. Descrittori più utilizzati nelle di­verse malattie reumatiche, derivati dal MPQ originale (Nolli M, Salaffi F, Ferraccioli GF, Camerini S, Uleri G, Uggeri E. Analysis of variables of Melzack’s semantic questionnaire in patients with osteoarthrosis. Minerva Anestesiol. 1988;54(5):215-22).

 

Le maggiori differenze tra artrosi e le altre due patologie sono legate alle classi affettivo-emozionale a cui appartengono descrittori come “affligge”, “grave”, “allarmante” o “torturante” e che starebbero ad indicare una maggiore partecipazione emozionale alla malattia in termini di paura verso una entità di difficile definizione e di timore per ciò che potrebbe accadere in futuro fino a considerare la patologia in atto “grave” o “torturante”. I pazienti con artrosi hanno, per questi descrittori, le più basse frequenze percentuali rilevabili nella nostra casistica. La presenza di generici termini affettivi nel linguaggio dell’artrosi come “nauseante”, “dà tormento” o “dà sofferenza” é da considerarsi normale in una situazione di dolore con frequenti, e spesso attese, riacutizzazioni. L’aggiunta di elementi di gravità, di allarme, di tortura e di afflizione propone un quadro di “sindrome da dolore cronico” con note di depressione e di disturbi della personalità di tipo nevrotico.

La validità e l’attendibilità dimostrata dal MPQ nei diversi studi clinici, hanno indotto numerosi ricercatori a tentare di adattarlo in versioni nazionali, fonda­mentalmente mediante tre differenti approcci. Il primo ed anche il più diffuso metodo consiste nella traduzione letterale dei descrittori inglesi del MPQ in di­verse lingue, dal tedesco allo spagnolo, all’italiano. Il principale vantaggio di questo approccio é rappresentato dallo stretto parallelismo struttu­rale con l’originale MPQ, che consente studi transculturali tra diverse aree lin­guistiche. Per converso, le differenze e le peculiarità idiomatiche e semantiche rendono la traduzione letterale dei vocaboli inglesi in altre lingue troppo sempli­cistica e talora inaffidabile. Un approccio intermedio, consistente parte nella traduzione di aggettivi del MPQ (omettendo quei termini che non avrebbero potuto essere tradotti in maniera soddisfacente) parte nella introduzione di nuovi descrittori nazionali, é stato proposto dal German (Berne) Pain Questionnaire. Il terzo approccio al problema é rappresentato dalla metodica della rico­struzione, che tende a replicare, nell’allestimento delle singole versioni nazio­nali, il metodo originale di Melzack e Torgerson. Questo approccio, ideato allo scopo di superare i limiti strutturali ed operativi delle traduzioni più o meno let­terali del MPQ é stato finora realizzato dal Questionnaire Douleur Saint-Antoin, redatto in lingua francese, dal Finnish Pain Questionnaire ed anche dal Questionario Italiano del dolore (QUID). Un limite di tale metodo é costituito dal fatto che un questionario di questo tipo é, per qualche verso diffe­rente dall’originale MPQ, e ciò comporta potenziali ostacoli al suo impiego per studi transculturali. Inoltre, la semplificazione del quadro semantico, di concerto alla riduzione ed al bilanciamento del numero di descrittori, porta inevita­bilmente ad una perdita di informazioni riguardo al punteggio ed alla semantica tipica di ogni patologia. Per tutte queste ragioni ab­biamo sempre utilizzato nel corso dei nostri studi, la traduzione italiana del questionario del dolore di Melzack, proposta da Maiani e Sanavio.

I problemi principali derivanti dall’uso del MPQ sono legati soprattutto alla non facile somministrabilità al paziente, al quale deve essere letto, e dal fatto che, in questo caso, la cultura, la provenienza ed in generale la resa semantica del descrittore da parte del paziente (quindi la sua etnia) sono di grande impor­tanza nella resa clinica e di ricerca del questionario stesso. Nella nostra esperienza facciamo sempre precedere la valutazione vera e propria da un colloquio esplicativo con il paziente al quale cerchiamo di chia­rire ogni dubbio riguardo la corretta utilizzazione dei metodi di misura che inten­diamo proporre. Nel colloquio facciamo, inoltre, conoscere al paziente le finalità dell’indagine ed al termine ne discutiamo con esso i risultati ottenuti. E’ di non trascurabile importanza che il paziente, soprattutto quello con dolore cro­nico, prenda visione del risultato monitorato di una terapia, in quanto la dimo­strazione dell’effetto della stessa serve anche per vincere la situazione psicolo­gica del paziente con dolore cronico abituato a vivere con il suo dolore e convinto per lo più della impossibilità che una qualunque terapia possa essergli di qualche giovamento.

Nell’ottica di fa­cili­tare l’approccio routinario al paziente affetto da malattie muscoloscheletriche, abbiamo accumunato i descrittori più utilizzati nelle di­verse malattie reumatiche derivati dal MPQ originale (Figura 16) in un Questionario Semantico Reumatologico (QSR) (Figura 17).  I 23 descrittori di costellazione (12 di classe sensoriale, 9 di classe affettiva e 2 di classe valutativa), così ottenuti, sono stati disposti nel QRS in ordine ca­suale e con il rel­ativo valore di rango e di scala.  Le diverse tappe di validazione e l’impiego routinario di tale strumento ne hanno confermato le proprietà psicometriche e psicometriche in termini di validità, affidabilità e riproducibilità.

Figura 17. Questionario Semantico Reumatologico (Salaffi F, Nolli M, Cavalieri F, Ferraccioli GF.  Il questionario semantico reumatologico (QSR). Analisi della validità di costrutto e delle variabili intrinseche: confronto con il questionario di Melzack. Il Reumatologo 1990;4:146-52)

 

Il QSR, analogamente alla versione integrale del MPQ, da cui è derivato, conserva la struttura fattoriale tridimensionale del dolore (sottoclasse sensoriale, affettiva e valutativa) e ne conferma, pertanto, la validità di costrutto.  Il QRS è stato impiegato in un ampio studio multicentrico italiano (Studio M.I.D.A), come scala semantica nella valutazione del dolore in pazienti affetti da gonartrosi e da coxartrosi. La valutazione dei punteggi di rango e di scala delle sottoclassi sensoriale, affettiva e valutativa non ha mostrato significative differenze fra le diverse aree geografiche di provenienza dei pazienti (Figura 18).

Figura 18. Punteggi del QSR totali e dimensionali suddivisi per area geografica (Studio M.I.D.A) (Cimmino MA, Salaffi F, Olivieri I, Trotta F, Frizziero L, Sarzi Puttini P, Grassi W, Modena V, Cantatore FP, Bombardieri S, Adami S, Punzi L, Lapadula G; Gruppo MI.D.A. Caratteristiche del dolore in pazienti italiani con artrosi: risultati preliminari dello Studio MI.D.A. (Misurazione del Dolore nell’Artrosi) [Pain patterns in Italian patients with osteoarthritis: preliminary results of the MI.D.A. Study (Misurazione del Dolore nell’Artrosi)]. Reumatismo. 2004 Oct-Dec;56(4):253-61).

 

La comparazione dei descrittori del QSR nei pazienti di diversa provenienza geografica ha, invece, consentito di osservare una significativa preferenza (descrittore di costellazione) del termine di classe valutativa “insopportabile” (descrittore di più elevato rango per tale classe) nei soggetti provenienti dall’area del Sud dell’Italia rispetto a quelli del Nord e del Centro Italia, che invece hanno mostrato di preferire il termine “noioso”, di rango meno elevato. Il descrittore “dà tormento”, appartenente alla classe miscellanea-valutativa è risultato, invece, preferito dai pazienti del Nord-Centro Italia (Figura 19).

Figura 19: Comparazione dei descrittori del Questionario Semantico Reumatologico (QRS) nei pazienti con artrosi dell’anca e del ginocchio per diversa provenienza geografica (Studio M.I.D.A) (Cimmino MA, Salaffi F, Olivieri I, Trotta F, Frizziero L, Sarzi Puttini P, Grassi W, Modena V, Cantatore FP, Bombardieri S, Adami S, Punzi L, Lapadula G; Gruppo MI.D.A. Caratteristiche del dolore in pazienti italiani con artrosi: risultati preliminari dello Studio MI.D.A. (Misurazione del Dolore nell’Artrosi) [Pain patterns in Italian patients with osteoarthritis: preliminary results of the MI.D.A. Study (Misurazione del Dolore nell’Artrosi)]. Reumatismo. 2004 Oct-Dec;56(4):253-61) 

Valutazione comportamentale

Un aspetto non trascurabile nell’ambito di un corretto approccio al paziente con dolore cronico concerne l’attenzione che deve essere rivolta alla variabilità interindividuale della risposta nocicettiva in base alle differenze di personalità e, soprattuto, in relazione all’osservazione sistematica del comportamento di doglianza (algometria comportamentale). E’ ben noto come l’esperienza del dolore cronico, specie in corso di malattie muscoloscheletriche, comporti significativi riflessi sulla sfera cognitiva, affettiva e soprattutto comportamentale (comportamento espressivo e motorio, interazioni sociali e familiari, richiesta di far­maci, di interventi chirurgici, disturbi affettivi, abuso di alcool, irritabilità, livelli di attività e conseguenze socio-economiche e lavorative). Tale stile maladattivo nell’affrontare la propria affezione viene denominato comportamento anomalo di malattia, ed è inteso come una “modalità di malapprendimento nel percepire, valutare ed agire in rapporto al proprio stato di salute”. Un modo pratico ed ampiamente utilizzato per valutare i comportamenti da dolore è quello di chiedere ai pazienti di tenere un diario giornaliero delle loro attività. Solitamente i pazienti registrano il numero di volte che compiono delle attività specifiche (ad esempio, sedere, camminare, stare distesi o in piedi) e quanto tempo dedicano ad esse. Il diario del dolore (o tecnica dei resoconti soggettivi) è una esposizione personale, orale o scritta, delle esperienze e del comportamento giornaliero (Figura 20). Tali rapporti, sebbene si basino su un metodo di quantificazione indiretta, che per la sua stessa natura contiene un errore intrinseco, si sono dimostrati sufficientemente attendibili e rappresentano un utile metodo per valutare giornalmente i mutamenti delle condizioni patologiche e la risposta alla terapia. Tale tipo di misurazione è strettamente dipendente dall’accurata registrazione, da parte del paziente di una serie di comportamenti, quali:

  • attività quotidiane, come sedersi, alzarsi, distendersi;
  • tipo e qualità del sonno;
  • attività sessuale;
  • compiti specifici;
  • farmaci analgesici assunti;
  • attività domestiche eseguite;
  • attività ricreative svolte;
  • pasti assunti.

Figura 20. Rappresentazione simbolica (pittogramma) per la documentazione del livello di attività. Il paziente registra nelle rispettive caselle, il tempo in minuti dedicato alle attività sopra indicate (esempio di scheda giornaliera-tecnica dei diari)

Valutazione della qualità del sonno

La qualità del sonno viene misurata, di norma, mediante una semplice scala analogica visiva o numerica (segmento di retta di 10 cm), in cui ad un estremo è indicato 0 = nessun problema per dormire e nell’altro 10 = massima difficoltà per dormire. Nei trial clinici vengono, tuttavia, adottati strumenti più complessi, come ad esempio il Medical Outcome Study (MOS) Sleep, l’Insomnia Severity Index, il Pittsburgh Sleep Diary  ed il Pittsburgh Sleep Quality Index. Il MOS Sleep Scale, in particolare, è una scala che misura differenti aspetti correlati a turbe del sonno (difficoltà all’addormentamento ed al mantenimento del sonno, sonnolenza diurna, disturbi respiratori, russamento, quantità del sonno). Ogni dominio, espresso come frequenza nelle ultime 4 settimane, viene misurato mediante una scala a 7 livelli (da 0 a 6) ai cui estremi figurano “mai” e “per tutto il tempo”. Mediante algoritmi lineari di trasformazione i punteggi vengono convertiti in una scala compresa fra 0 e 100.

Valutazione dell’affaticamento o della “fatigue”

L’affaticamento o “fatigue” è uno dei sintomi più comunemente riferiti dai con sindromi da dolore cronico ed in particolare in quelli affetti da fibromialgia e la sua misurazione è di fondamentale importanza sia in ambito clinico che nella ricerca. Gli strumenti più impiegati in questo ambito sono il Multidimensional Assessment of Fatigue Index, il Brief Fatigue Inventory ed il Functional Assessment of Chronic Illness Therapy Fatigue subscale (FACIT-F) (Figura 21).

Figura 21: Functional Assessment of Chronic Illness Therapy Fatigue subscale (FACIT-F). Il punteggio viene calcolato a seconda degli items sommando i numeri segnati o sottraendo da 4 il numero scelto per poi eseguire la somma totale. Nel caso in cui mancano una o più risposte ad un item, la somma viene moltiplicata per il numero degli items e poi divisa per il numero degli items a cui il paziente ha risposto.

 

Il Multidimensional Assessment of Fatigue index misura la fatica ed il suo effetto sulle attività della vita quotidiana mediante la somministrazione di 16 domande. Tre quesiti indagano la severità ed il grado della fatica, 11 quesiti valutano il grado di interferenza della fatica con la capacità a svolgere le comuni attività della vita quotidiana (cucinare, farsi il bagno, vestirsi, attività sociali, visitare amici o parenti, camminare, ecc.), un ulteriore domanda indaga gli aspetti temporali della fatica ed un’ulteriore quesito misura i cambiamenti occorsi nell’ultima settimana. Il punteggio totale del questionario, calcolato dalla somma delle 3 sottoscale, è compreso fra 0,125 e 10.

La crescente importanza attribuita alla valutazione obiettiva e della monitorizzazione dei parametri comportamentali ha condotto allo sviluppo di strumenti multidimensionali di misurazione (Tabella II).

 

Si tratta, in generale, di questionari concepiti per l’auto-somministrazione o la somministrazione condotta attraverso un colloquio “faccia a faccia” che, sebbene differenti fra loro nelle dimensioni esplorate, nell’attribuzione dei punteggi e nella finalità di misurazione, offrono una base razionale per riconoscere i comportamenti anomali di malattia e per valutare la complessa fenomenologia correlata al dolore cronico. Fra questi stumenti il questionario del comportamento in stato di malattia o llness Beavior Questionnaire (IBQ) è uno dei più frequentemente utilizzati in campo reumatologico. Esso è costituito da 62 item e non richiede un intervistatore. Pilowsky e Spence hanno costruito l’IBQ ricavandolo dal Whiteley Index of Hypochondriasis, elaborato dallo stesso Pilowsky nel 1967. Nel 1981 gli autori hanno poi rielaborato il questionario, aggiungendo 10 quesiti ai 52 originali. I principali parametri indagati dall’IBQ sono: 1) ipocondria generale; 2) convinzione della malattia; 3) percezione psicologica somatica della malattia; 4) inibizione affettiva; 5) disturbi affettivi; 6) negazione; 7) irritabilità.  Ulteriori esempi di stumenti di misurazione dei livelli di inibizione comportamentale da dolore cronico sono rappresentati dal Dartmouth Pain Questionnaire (DPQ) e dal Psychosocial Pain Inventory (PSPI). Il primo è costituito da 4 misure oggettive (intervento somatico-terapeutico, funzioni danneggiate, comporta­mento da dolore e aspetto positivo delle funzioni rimanenti) e da una misura sog­gettiva (il senso di autostima, come risultato del dolore cronico). Il secondo è invece strutturato in 25 item, correlati ad aspetti come il guadagno finanziario ricavabile dal dolore, i periodi di riposo, il rinforzo sociale del comportamento indotto dal dolore, l’uso di farmaci o di alcool, il fatto di evitare compiti impegnativi, eventi gravi della vita e precedenti stati di invalidità cronica.

Per quanto attiene, invece, la valutazione degli effetti disabilitanti del dolore sullo stato generale di salute, è stato messo a punto e validato uno strumento autosomministrato o proposto per intervista faccia-a-faccia: il Chronic Pain Grade (CPG) Questionnaire (Figura 22).

Figura 22. Versione Italiana del Chronic Pain Grade Questionnaire (Salaffi F, Stancati A, Grassi W. Reliability and validity of the Italian version of the Chronic Pain Grade questionnaire in patients with musculoskeletal disorders. Clin Rheumatol 2006;25:619-31)

 

Tale approccio consente di differenziare i pazienti con elevata intensità del dolore ma con scarsa limitazione funzionale da quelli con analoghi livelli di dolore ma con associata disabilità. Nella Tabella III vengono riportati gli algoritmi per il calcolo dello score dell’intensità del dolore (Characteristic Pain Intensity) e per quello della disabilità del Chronic Pain Grade Questionnaire.

Lo strumento è costituito da sette items capaci di classificare il paziente in quattro differenti categorie, secondo l’intesità del dolore ed il grado di disabilità: Grado I: bassa intensità-bassa disabilità; Grado II: alta intensità-bassa disabilità; Grado III: elevata disabilità-moderatamente limitato; Grado IV: elevata disabilità-severamente limitato (Figura 23).

Figura 23.  Classificazione del dolore cronico in quattro differenti categorie, in accordo all’intensità del dolore e al grado di disabilità secondo il Chronic Pain Grade questionnaire (Salaffi F, Stancati A, Grassi W. Reliability and validity of the Italian version of the Chronic Pain Grade questionnaire in patients with musculoskeletal disorders. Clin Rheumatol 2006;25:619-31)

 

Sono, inoltre, disponibili numerosi strumenti di valutazione multidimensionale della disabilità e della qualità della vita che integrano, fra le loro principali dimensioni (o aree di salute), anche scale di valutazione del dolore (Tabella). Le due principali categorie di tali strumenti sono rappresentate dagli strumenti specifici per l’impiego in campo reumatologico e dagli strumenti generici. I primi sono stati concepiti in modo tale da fornire informazioni attinenti all’area di interesse. Le valutazioni specifiche in campo reumatologico sono incentrate su aspetti della salute tipici e sul quadro sintomatologico (mobilità, destrezza, attività fisica, ruolo sociale e familiare, dolore, attività della vita quotidiana, dolore e stato psico-emotivo). I secondi, in particolare i profili dello stato di salute, sono stati messi a punto allo scopo di fornire una descrizione delle condizioni sanitarie in una vasta gamma di popolazioni, in relazione alle diverse dimensioni dello stato di salute.

 

Valutazione del dolore: la tecnica EMA (Ecologic Momentary Assessment)

L’introduzione delle scale di valu­tazione verbali e numeriche, dei diari clinici e dei questionari semantici e comportamentali è indubbiamente un passo importante nello studio della componente soggettiva del dolore. La principale fonte d’errore connessa all’utilizzo di tali metodiche deriva dall’evidenza che, spesso, le valutazioni riferite dal paziente, non sono riportate nel contesto e nel momento in cui il soggetto vive l’esperienza dolorosa, ma sono frutto di una rielaborazione retrospettiva della così detta memoria del dolore o “pain memory”. Spesso, è richiesto al paziente, non solo di ricordare esattamente i dettagli dell’esperienza dolorosa, ma di esprimere un giudizio sintetico sulle caratteristiche del dolore stesso: la frequenza (quante volte ha avuto dolore nell’arco della settimana o del mese passato), l’intensità (il livello medio di dolore che ha avvertito) o aspetti ancora più complessi (se, ad esempio, ha avuto più riacutizzazioni il mattino o alla sera e se tali episodi sono risultati associati a situazioni di stress). Ricerche sulla “pain memory” dimostrano che il ricordo di un’esperienza di dolore non è quasi mai una riproduzione esatta dell’evento, essendo modulata da numerose variabili. E’ noto, ad esempio, come diversi pazienti con dolore cronico sovrastimino i livelli di intensità del dolore. La sede dello stimolo doloroso è un’altra variabile non trascurabile; soggetti con lombalgia o cervicalgia cronica risultano, ad esempio, più attenti nel ricordare la loro esperienza algica, rispetto a pazienti con cefalea o con dolori addominali. Fattori demografici (età, sesso, stato civile) o di natura psico-sociale influenzano, inoltre, i processi di autovalutazione. Le informazioni sul dolore, raccolte nell’ambito di una visita ambulatoriale o di un ricovero sono, pertanto, informazioni “retrospettive”, richiamate dalla memoria autobiografica del paziente, secondo una logica “medico-centrica”.  La recente adozione, in numerosi campi della medicina, della tecnica EMA (Ecologic Momentary Assessment) nella valutazione di fenomeni complessi, fra i quali l’intensità del dolore e l’impatto che esso determina sulla disabilità fisica, sullo stato psico-affettivo e più in generale sulla qualità della vita, ha introdotto una moderna prospettiva nell’approccio alla gestione di tali pazienti. Gli studi condotti con metodo EMA hanno come principale attore il paziente e si propongono di campionare, con il giudizio espresso dal paziente stesso, e ad intervalli di tempo prefissati, i dati concernenti problematiche specifiche (es. l’intensità del dolore, il grado d’ansia o di depressione, la disabilità funzionale, la qualità della vita) del suo vissuto quotidiano.

La metodica EMA si caratterizza per tre principali aspetti:

– “Ecologic”, analizza il paziente nel suo abituale “habitat”, tenendo conto delle sue esperienze quotidiane, del suo lavoro, della sua vita di relazione (in sostanza della sua “real life”). Tale caratteristica è in contrasto con il tradizionale approccio clinico, nel quale il paziente è valutato in un contesto completamente diverso, rispetto al suo habitat quotidiano. L’influenza della “real life” sull’analisi retrospettiva che un paziente fornisce di un’esperienza sensoriale passata è estremamente importante. Quando è chiesto di formulare un giudizio, ad esempio sul livello d’intensità del dolore percepito nell’ultima settimana, il soggetto deve estrapolare tale informazione dal suo contesto quotidiano. Se il nostro interesse è quello di valutare l’efficacia di una terapia sul sintomo dolore, è certamente più attendibile utilizzare informazioni registrate in modo “ecologic”, ovvero nell’habitat naturale del paziente.

– “Momentary”, si riferisce alla capacità che la metodica presenta di registrare determinati parametri in tempo reale, vale a dire nel momento stesso in cui sono vissuti dal soggetto, in “real time”. Tale caratteristica permette di poter superare le problematiche connesse alla “memoria del dolore”, consentendo un’interpretazione reale dell’esperienza sensoriale.

– “Assessment”, si riferisce alla possibilità di programmare l’utilizzo del metodo di valutazione nel modo più semplice ed accessibile, anche a soggetti con scarsa compliance.

L’attuale disponibilità di diari elettronici (eDiary) e la realizzazione di idonee piattaforme hardware e software, hanno aperto nuovi orizzonti nell’applicabilità della tecnica EMA, anche in campo reumatologico. L’adozione di specifici accorgimenti nella realizzazione dei dispositivi di rilevazione elettronica si riflettono in una serie di vantaggi pratici che rendono la metodica più facilmente comprensibile al paziente con conseguente miglioramento della “compliance” nei confronti dello strumento elettronico, rispetto al corrispettivo cartaceo (diari tradizionali). Dalla constatazione delle problematiche connesse al meccanismo della “memoria del dolore” risulta, evidente come il clinico non possa basare le sue scelte sulle sole valutazioni retrospettive espresse dal paziente, ma ha la necessità di studiare il dolore con una metodologia che si avvicini il più possibile alla realtà.

In Figura 24 a-b-c-d è riportato un esempio di modello operativo di sistema EMA, da noi realizzato. Esso è costituito da un dispositivo di rilevazione denominato “DataLogger – Pain Level Recorder” e da un software di gestione programmato in C++ funzionante su piattaforme Microsoft Windows. Il DataLogger è costituito da un “case” in materiale plastico resistente agli urti ed impermeabile, dotato di display a cristalli liquidi, in grado di visualizzare fino a 126 caratteri, e di un dispositivo d’input semplificato, costituito da un tastierino numerico (da 0 a 10). Al suo interno sono alloggiate una scheda madre, che incorpora anche un processore audio a 8 bit per la generazione del segnale acustico e una memoria solida “flash memory” su cui è preinstallato il “firmware”, ovvero il software che consente il funzionamento del dispositivo e lo stoccaggio dei dati.

Figura 24a. Schermata iniziale del software di gestione del DataLogger Consente di accedere a un database integrato oltre a creare, cancellare e modificare i dati relativi ai pazienti e alle prove in corso (Salaffi F, Stancati A, Procaccini R, Cioni F, Grassi W. Assessment of circadian rhythm in pain and stiffness in rheumatic diseases according the EMA (Ecologic Momentary Assessment) method: patient compliance with an electronic diary. Reumatismo. 2005;57(4):238-49). 
Figura 24b. Finestra di inserimento dei dati anagrafici del paziente.  L’indicizzazione dei pazienti nel database avviene mediante nome e cognome o in alternativa mediante  un numero di codice Figura 24d. Interfaccia operativa. Visualizza l’archivio pazienti, le prove in atto, e dà accesso alle funzioni di servizio

Figura 24c. Finestra di dialogo per la selezione delle funzioni di servizio. Consente di settare l’ora esatta sul datalogger, e di accedere alla programmazione del protocollo.

 

L’interfaccia di comunicazione è costituita da una porta seriale, attraverso la quale è resa possibile l’operazione di programmazione degli studi e di sincronizzazione dei dati con il database integrato nel software di gestione, da installare su una workstation (Figura 25 a-b-c-d). I risultati delle nostre esperienze, in pazienti con artrite reumatoide, fibromialgia ed artrosi del ginocchio confermano l’applicabilità del metodo EMA con sistemi computerizzati in un contesto reumatologico. L’elevata percentuale di risposta ai quesiti ottenuti con il diario elettronico (pari al 93,7%), in accordo con i risultati di altri studi, confermano l’elevata “compliance” dimostrata dai pazienti nei confronti di tale metodica. Inoltre, tale percentuale di risposta non è influenzata dall’età o dal livello socio-culturale dei soggetti esaminati, a supporto di come la metodica EMA sia di semplice utilizzo anche per anziani con scarsa familiarità per i dispositivi elettronici.

Figura 25a. Personalizzazione studio. Consente di impostare sino a 8 rilevazioni giornaliere Figura 25b. Archivio studi. Consente di salvare e richiamare i diversi protocolli creati
 Figura 25c. Archivio prove “grafici linee”. Visualizza l’archivio prove dei pazienti, con i dati delle singole rilevazioni e l’andamento espresso mediante AUC Figura 25d. Archivio prove “grafici istogrammi”.  Visualizzazione grafica alternativa

 

Tale dispositivo ha, inoltre, consentito la valutazione del ritmo circadiano del dolore e della rigidità nei tre gruppi di pazienti, per ogni singola giornata e per sette giorni consecutivi, suddividendoli nelle sette rilevazioni quotidiane (ore 8:00 a.m., 10:00 a.m., 12:00 a.m., 2:00 p.m., 4:00 p.m., 6:00 p.m., 8:00 p.m.).

I nostri studi inducono a ritenere che il grado di compliance all’utilizzo di tale metodica per il rilievo di dati soggettivi, quali il dolore e la rigidità risulti elevato nei pazienti con dolore cronico muscoloscheletrico. L’elevata percentuale di risposta al diario elettronico (pari al 93,7%) è in accordo con i risultati ottenuti nel contesto di altri studi. Inoltre, tale alta percentuale di risposta non risulta influenzata dall’età o dal livello socio-culturale dei soggetti esaminati, confermando come la metodica EMA sia di semplice utilizzo anche per anziani con scarsa familiarità per i dispositivi elettronici. Come osservato da Stone et al, la compliance nei pazienti monitorati con metodo EMA rimane invariata anche per periodi di tempo superiori ad una settimana, a conferma di come tale approccio sia ben accettato dal paziente.

E’ da sottolineare come la compliance riscontrata sia stata calcolata sulla base delle registrazioni riportate nel diario elettronico assegnato a ciascun paziente. Il nostro dispositivo elettronico DataLogger è stato programmato in modo tale che, se il soggetto non risponde ad una delle rilevazioni, non può recuperarla in seguito e, pertanto, viene registrato come “dato mancante”. Tale caratteristica, peculiare della metodica EMA, consente una stima reale della compliance, a differenza di quanto osservato con la tecnica dei diari cartacei, per i quali sono riportati numerosi errori (“biases”) e violazioni. E’ noto ad esempio, che con tale metodo un numero consistente di pazienti tende ad inserire i dati in tempi successivi a quelli previsti, o addirittura, cumulativamente alla fine del periodo di osservazione, a domicilio o nella sala di attesa del medico, prima di riconsegnare il diario. Queste violazioni, oltre ad inficiare la validità degli studi, contrastano con il razionale di utilizzo della tecnica dei diari cartacei, che è quello di avvicinarsi il più possibile all’esperienza soggettiva vissuta dal paziente. In uno recente studio, Stone et al hanno confrontato la compliance di pazienti affetti da dolore cronico che avevano adottato un sistema di rilevazione basato sulla tecnica dei diari cartacei, rispetto ad un gruppo che avevano impiegato i diari elettronici, programmati secondo le linee-guida EMA. A tutti i soggetti è stato richiesto di esprimere un giudizio sul loro livello di dolore, in tre differenti orari della giornata (ore 10:00 a.m, ore 4:00 p.m, ore 8:00 p.m), per un periodo consecutivo di tre settimane. Al termine dello studio osservazionale sono stati analizzati due parametri: la compliance con la tecnica cartacea, stabilita in relazione alla data ed all’ora di ogni singola registrazione riportata sul diario, e la compliance con il metodo EMA, calcolata automaticamente dallo strumento, in base al numero delle rilevazioni registrate. Sebbene una preliminare analisi comparativa abbia indicato una sostanziale analogia di comportamento in termine di percentuale di risposte ottenute con le due metodiche (il 90% per la metodica dei diari cartacei e il 94% per i diari elettronici), in realtà, una più accurata indagine ha dimostrato che i pazienti esaminati con il metodo dei diari cartacei avevano compilato le rilevazioni in tempi successivi a quelli previsti (il 32% dei soggetti aveva risposto solo al termine della giornata), riducendo drasticamente la compliance a valori pari all’11%. Fra i parametri soggettivi, il dolore e la rigidità costituiscono, in pazienti affetti da malattie reumatiche, elementi di rilievo in chiave valutativa, in quanto capaci di condizionare l’iter assistenziale nei molteplici percorsi in ambito sia diagnostico-terapeutico che prognostico. I dati della letteratura sulla variabilità e la ritmicità di tali parametri in corso di malattie reumatiche restano, tuttavia, limitati. Nell’artrite reumatoide e nella gonartrosi i nostri dati confermano la presenza di un chiaro ritmo circadiano, sia per il parametro dolore che per la rigidità, mentre tale comportamento non sembrerebbe caratterizzare i pazienti con fibromialgia. Questi dati sono in parziale dissonanza con quanto segnalato in un gruppo di soggetti con fibromialgia “con bassa soglia” del dolore, in cui è stato documentato un picco massimo del livello di dolore al risveglio, seguito da una parziale riduzione durante le due ore successive, per poi stabilizzarsi durante l’arco del giorno. I dati relativi alla ritmicità dei livelli di dolore e di rigidità, documentati nel sottogruppo con più alta soglia del dolore, sembrerebbero, invece, in accordo con le nostre osservazioni, in cui si evidenzia come entrambi i parametri mantengano un andamento costante durante l’arco del giorno. Pertanto, un possibile limite del nostro studio può essere correlato alla mancata analisi preliminare, volta a differenziare la soglia del dolore nei pazienti esaminati. I meccanismi fisiopatologici alla base di tali variazioni circadiane sono complessi e coinvolgono diversi mediatori (istamina, bradichinina, prostaglandine, cortisolo, melatonina e soprattutto citochine pro e anti-infiammatorie. In effetti, in corso di artrite reumatoide il ritmo circadiano del metabolismo e della secrezione di corticosteroidi endogeni influenza le oscillazioni giornaliere che si osservano durante la risposta infiammatoria. La luce delle prime ore del mattino svolge un ruolo non trascurabile nello stimolare il picco mattutino del cortisolo e nell’inibire la produzione di melatonina della ghiandola pineale. La melatonina antagonizza gli effetti del cortisolo favorendo, pertanto, la secrezione di citochine pro-infiammatorie (IL1, IL6, TNFα). Tale squilibrio tra la carenza relativa di cortisolo, correlata alla ridotta attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, e l’aumento sierico di melatonina, rappresenta la condizione fisiopatologica alla base degli aumentati livelli di dolore e di rigidità nelle prime ore del mattino, che caratterizzano l’artrite reumatoide. Meno noti in letteratura sono i dati relativi ai meccanismi fisiopatologici connessi alle variazioni circadiane nella fibromialgia e nella gonartrosi sintomatica. I risultati dei nostri studi dimostrano l’applicabilità del metodo EMA con sistemi computerizzati in un contesto reumatologico. La metodica offre la possibilità di stabilire, a differenza della tecnica dei diari cartacei, la compliance dei soggetti esaminati e, pertanto, di disporre di dati affidabili, evitando di introdurre un “bias” nella progettazione dello studio. Tale approccio metodologico offre interessanti prospettive, non solo in ambito clinico, consentendo, potenzialmente, di pervenire alla personalizzazione del piano terapeutico stesso sulla base delle caratteristiche del soggetto, ma anche nel contesto della ricerca neuroendocrinologica.

 

Conclusioni

In conclusione, il dolore rappresenta un evento comune in corso di malattie muscoloscheletriche. Molteplici fattori influenzano la percezione e l’espressione esteriore dell’esperienza algica da parte del paziente e ciò rende particolarmente difficile la misurazione di tale fenomeno e l’interpretazione dei risultati. Il ruolo centrale dell’affettività nell’esperienza e nel comportamento da dolore cronico ha favorito, in particolare l’utilizzo di una serie di strumenti di misura che comprendono dalle più semplici scale descrittive a quelle numeriche, analogiche, cromatiche, fino ai più complessi questionari di valutazione multidimensionale dell’esperienza algica e della qualità della vita (Tabella IV).

Un’attenta valutazione del dolore e delle sue caratteristiche ed una scelta ragionata e consapevole degli strumenti più idonei, non solo aiuta il paziente ad esprimere il proprio dolore al momento dell’incontro, ma, può influenzare più in generale il modo in cui lo descrive. Esso, infatti, aumenta la conoscenza individuale del dolore cronico e migliora la capacità di comunicare. Inoltre la sua utilità, oltre che biometrica o statistica, é quella di far intuire al paziente, quasi sempre sfiduciato e scettico, che intendiamo parlare del suo dolore nei termini e nella misura da lui identificati; il che costituisce un immediato, istintivo e costruttivo ponte di fiducia. Da ciò ne deriva la possibilità di approntare, indipendentemente dagli schemi farmacologici, una serie di programmi di supporto, di conoscenza e di capacità specifiche (rilassamento, strategie cognitive nell’affrontare i problemi ecc.) che se globalmente proposti possono conseguire apprezzabili risultati.

Punti chiave
  1. La misura del dolore nella ricerca clinica e sperimentale è di cruciale importanza e riflette l’esigenza di quantificare il dato osservabile, fondamento di ogni approccio scientifico. La Legge sulle cure palliative e terapia del dolore (LEGGE 15 marzo 2010, n°38) introduce l’obbligo per i medici di monitorare il dolore degli assistiti nella cartella clinica. Un obbligo che va applicato a tutti i pazienti, indipendentemente dalla patologia, e che andrà eseguito annotando osservazioni, modalità di cura ed esiti del trattamento.
  2. Fra i domini individuati come importanti per la valutazione del dolore cronico muscoloscheletrico l’intensità del dolore, la localizzazione e gli aspetti temporali (frequenza ed esacerbazioni) sono da considerarsi quelli più comunemente accettati come essenziali e quelli solitamente inclusi negli strumenti di valutazione esistenti.
  3. L’introduzione delle scale verbali, numeriche e visive di valutazione del dolore, rappresenta il primo passo nello studio della componente soggettiva dell’esperienza algica. La possibilità di quantifi­care il dolore attraverso il rapporto verbale ha condotto ad una evoluzione di tale approccio fino alla for­mulazione definitiva dei questionari semantici del dolore.
  4. La crescente importanza attribuita alla valutazione obiettiva e della monitorizzazione dei parametri comportamentali ha condotto allo sviluppo di strumenti multidimensionali di misurazione del comportamento di doglianza e di valutazione degli effetti disabilitanti del dolore sullo stato generale di salute e sulla qualità della vita.
  5. La recente adozione, in numerosi campi della medicina, della tecnica EMA (Ecologic Momentary Assessment) nella valutazione di fenomeni complessi, fra i quali l’intensità del dolore e l’impatto che esso determina sulla disabilità fisica, sullo stato psico-affettivo e più in generale sulla qualità della vita, ha introdotto una moderna prospettiva nell’approccio alla gestione di tali pazienti.
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